L’opera letteraria Locus Solus di Raymond Roussel è un caso assolutamente sintomatico di creazione e invenzione, attraverso il linguaggio, di immagini per loro natura stessa poste al di là dei limiti della rappresentazione. La presente ricerca intende mettere in luce il complesso rapporto tra verbale e visuale, nonché tra linguaggio e immaginazione, su cui Roussel, nato a Parigi nel 1877 e morto suicida a Palermo nel 1933, ha basato il suo romanzo segnando un cruciale momento di riflessione nell’ambito delle avanguardie ed esercitando una forte influenza su correnti successive. L’operazione letteraria dell’autore dà vita a un immaginario parco delle meraviglie in cui i protagonisti, passeggiando, incontrano una serie di congegni stupefacenti, delle vere e proprie opere d’arte-installazioni, che vengono descritte nei minimi dettagli e frammentate in tutti i loro meccanismi con un eccesso enumerativo di particolari. Queste descrizioni tecniche precisissime, in realtà, non sono finalizzate alla messa in atto né sono funzionali all’economia narrativa del racconto: esse sono un eccesso esplicativo, una pura dépense improduttiva fine a se stessa. Tutti questi congegni, infatti, risultano assolutamente irrealizzabili, ovvero celibi, non coniugabili a nulla e destinati a rimanere in questo Locus (appunto Solus) dell’immaginario. Le chiavi psicoanalitiche di cui il presente lavoro intende servirsi aprono, da questo punto di vista, notevoli implicazioni. Se queste opere d’arte si generano solo nella descrizione linguistica e sono quindi, secondo la definizione di Foucault, “esseri” di linguaggio senza finalità, il mondo creato da Roussel è un puro dominio del logos, un tentativo di controllo simbolico dei meccanismi – meccanici e organici – che presiedono al funzionamento di queste invenzioni in cui nulla è lasciato al caso e tutto è controllato con precisi ingranaggi sincronici. È lo stesso Roussel in Comment j’ai écrit certains de mes livres a spiegare l’importanza che riveste per lui la creazione linguistica e il procedimento adottato per dar vita a questo logos particolare basato sull’accostamento imprevisto di combinazioni fonetiche, sull’omofonia del linguaggio unita allo sdoppiamento semantico di parole e frasi. Con Lacan possiamo definire questo procedimento un costante slittamento di significanti, cioè uno slittamento metonimico in cui la coniugazione significante-significato è sempre e solo provvisoria. Non tutto però è dominabile dal simbolico. La maglia significante che costituisce l’Altro del linguaggio è infatti per Lacan strutturalmente mancante, forata da ciò che appartiene all’ordine del non sapere e che sfugge alla simbolizzazione; così l’esercizio estremo del linguaggio applicato da Roussel ad un nulla improduttivo rivela un esterno del linguaggio stesso, un elemento sfuggente e innomminabile che si installa nella mancanza e nell’incompiutezza della scrittura/struttura. Dentro la lingua madre emerge un elemento straniero non controllabile: tale elemento è ascrivibile alla zona del desiderio che per la psicoanalisi resiste alla rete dell’universale, non è coniugabile alla parola e connota la nostra irriducibile singolarità. La ricerca vuole evidenziare a questo punto la diversità dell’operazione linguistica rousselliana rispetto a quella di Joyce, Kafka e, in particolare, di Artaud. Essa è una scrittura eccedente, sovrabbondante e sempre, tuttavia, mancante, inadatta nel rappresentare degli oggetti irrealizzabili che prendono vita in un percorso solitario dell’immaginario. Più vicina, sul piano delle arti visive e del loro complesso rapporto con la letteratura nel primo Novecento, è invece l’operazione che sottende all’opera Il grande vetro di M.Duchamp, il quale, influenzato dalla portata sperimentale di Locus Solus, fa della sua opera, sintomaticamente rimasta incompiuta, il luogo dell’impossibilità del congiungimento con l’oggetto del desiderio. Il mondo rousselliano fatto di linguaggio e di immaginazione – come l’immagine concretamente realizzata da Duchamp – rinvia dunque a un’eccedenza non contornabile e porta in sé lo scollamento con la realtà. Qui, entro questo scollamento insanabile, sul limitare della rappresentazione, emerge ciò che sfugge ad ogni inquadramento simbolico e che fa problema nella parola e nell’immagine, ma che per ciò stesso le anima e le vivifica.

(2016). Beings of language, beings of desire: for a psychoanalytical reading of Raymond Roussel's Locus Solus . Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/119186

Beings of language, beings of desire: for a psychoanalytical reading of Raymond Roussel's Locus Solus

Barcella, Daniela
2016-01-01

Abstract

L’opera letteraria Locus Solus di Raymond Roussel è un caso assolutamente sintomatico di creazione e invenzione, attraverso il linguaggio, di immagini per loro natura stessa poste al di là dei limiti della rappresentazione. La presente ricerca intende mettere in luce il complesso rapporto tra verbale e visuale, nonché tra linguaggio e immaginazione, su cui Roussel, nato a Parigi nel 1877 e morto suicida a Palermo nel 1933, ha basato il suo romanzo segnando un cruciale momento di riflessione nell’ambito delle avanguardie ed esercitando una forte influenza su correnti successive. L’operazione letteraria dell’autore dà vita a un immaginario parco delle meraviglie in cui i protagonisti, passeggiando, incontrano una serie di congegni stupefacenti, delle vere e proprie opere d’arte-installazioni, che vengono descritte nei minimi dettagli e frammentate in tutti i loro meccanismi con un eccesso enumerativo di particolari. Queste descrizioni tecniche precisissime, in realtà, non sono finalizzate alla messa in atto né sono funzionali all’economia narrativa del racconto: esse sono un eccesso esplicativo, una pura dépense improduttiva fine a se stessa. Tutti questi congegni, infatti, risultano assolutamente irrealizzabili, ovvero celibi, non coniugabili a nulla e destinati a rimanere in questo Locus (appunto Solus) dell’immaginario. Le chiavi psicoanalitiche di cui il presente lavoro intende servirsi aprono, da questo punto di vista, notevoli implicazioni. Se queste opere d’arte si generano solo nella descrizione linguistica e sono quindi, secondo la definizione di Foucault, “esseri” di linguaggio senza finalità, il mondo creato da Roussel è un puro dominio del logos, un tentativo di controllo simbolico dei meccanismi – meccanici e organici – che presiedono al funzionamento di queste invenzioni in cui nulla è lasciato al caso e tutto è controllato con precisi ingranaggi sincronici. È lo stesso Roussel in Comment j’ai écrit certains de mes livres a spiegare l’importanza che riveste per lui la creazione linguistica e il procedimento adottato per dar vita a questo logos particolare basato sull’accostamento imprevisto di combinazioni fonetiche, sull’omofonia del linguaggio unita allo sdoppiamento semantico di parole e frasi. Con Lacan possiamo definire questo procedimento un costante slittamento di significanti, cioè uno slittamento metonimico in cui la coniugazione significante-significato è sempre e solo provvisoria. Non tutto però è dominabile dal simbolico. La maglia significante che costituisce l’Altro del linguaggio è infatti per Lacan strutturalmente mancante, forata da ciò che appartiene all’ordine del non sapere e che sfugge alla simbolizzazione; così l’esercizio estremo del linguaggio applicato da Roussel ad un nulla improduttivo rivela un esterno del linguaggio stesso, un elemento sfuggente e innomminabile che si installa nella mancanza e nell’incompiutezza della scrittura/struttura. Dentro la lingua madre emerge un elemento straniero non controllabile: tale elemento è ascrivibile alla zona del desiderio che per la psicoanalisi resiste alla rete dell’universale, non è coniugabile alla parola e connota la nostra irriducibile singolarità. La ricerca vuole evidenziare a questo punto la diversità dell’operazione linguistica rousselliana rispetto a quella di Joyce, Kafka e, in particolare, di Artaud. Essa è una scrittura eccedente, sovrabbondante e sempre, tuttavia, mancante, inadatta nel rappresentare degli oggetti irrealizzabili che prendono vita in un percorso solitario dell’immaginario. Più vicina, sul piano delle arti visive e del loro complesso rapporto con la letteratura nel primo Novecento, è invece l’operazione che sottende all’opera Il grande vetro di M.Duchamp, il quale, influenzato dalla portata sperimentale di Locus Solus, fa della sua opera, sintomaticamente rimasta incompiuta, il luogo dell’impossibilità del congiungimento con l’oggetto del desiderio. Il mondo rousselliano fatto di linguaggio e di immaginazione – come l’immagine concretamente realizzata da Duchamp – rinvia dunque a un’eccedenza non contornabile e porta in sé lo scollamento con la realtà. Qui, entro questo scollamento insanabile, sul limitare della rappresentazione, emerge ciò che sfugge ad ogni inquadramento simbolico e che fa problema nella parola e nell’immagine, ma che per ciò stesso le anima e le vivifica.
2016
Barcella, Daniela
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