Le reti familiari in cui la malattia prova e entra in modo inedito, prolungato nel tempo, vedono i ruoli, come dire?, nella necessità di ridisegnarsi e rinascere. Si era marito e moglie, padre e figlio, madre e figlia e poi si diventa curante e curato. E le due cose si intrecciano, a volte stridono, fanno fatica a ridirsi, incrociate. Prima ero io che nella dedizione accudivo, sostenevo, davo sicurezza; adesso sono infragilito al punto tale che mi è necessario, ma mi pesa , che sia mio figlio o mia figlia a prendersi cura. Mi pare possa essere colta qui una sfida antropologica e delicatissima, dentro la quale abita una specifica sfida educativa. Questa estrema vicinanza dei destini nostri, questo legame profondo di destini di persone vulnerabili, e di generazioni vulnerabili, affidate le une alle altre, è sfida, certo, antica, anche se si vive su una soglia inedita. La sfida educativa è seria perché possiamo viaggiare verso un’inedita rottura del patto tra le generazioni. Nelle società avanzate si sta rischiando questo: che le generazioni si rappresentino in conflitto le une alle altre, in conflitto di interessi, in un conflitto di diritti. Diritti acquisiti contro i diritti umani, paradossalmente. Si riuscirà a costruire il senso e, soprattutto, la pratica di una nuova alleanza tra le generazioni, senza restare invischiati in quel gioco ambiguo di debiti, di riconoscenze, di risarcimenti, di meriti, di risentimenti? Si riuscirà a non restare invischiati in questo risucchio di rancori e paure per entrare nella dimensione del ricevere, dell’esporsi, del morire un po’ nelle cose, negli esercizi pratici di prossimità per rendere abitabile la relazione fra noi? Riusciremo a trovare le forme sociali e culturali della dedizione, a costruire per esempio un’educazione che cura le competenze affettive? Riusciremo per esempio a introdurre in modo significativo nelle nostre strategie educative l’incontro con la sofferenza? Riusciremo a reinserire nei percorsi educativi l’attenzione alla domanda, al silenzio per riuscire a vedere come si può dire e si può reggere in questa vita che vede così presto evocata la capacità di attenzione, di silenzio, di avvicinamento a situazioni in cui è l’altro che conduce la danza? È il fragile che la conduce, come sa chi danza. Occorre ricostruire e costruire e praticare nei nostri percorsi educativi il riconoscimento reciproco, la fiducia e la capacità di fronteggiamento nella prova, l’esperienza che può generare energia con e verso altri. Accedere a un percorso educativo non è andare a prendere energie per sé, per poi giocarle nella vita. Può essere anche un’esperienza interessante di generazione con altri di energia, di energia conoscitiva, di costruzione di esperienza, di energia che prende forme di pratiche ed anche forme della ricerca, anche di cose molto sofisticate.

Persona e vulnerabilità. La cura come situazione etica

LIZZOLA, Ivo
2006-01-01

Abstract

Le reti familiari in cui la malattia prova e entra in modo inedito, prolungato nel tempo, vedono i ruoli, come dire?, nella necessità di ridisegnarsi e rinascere. Si era marito e moglie, padre e figlio, madre e figlia e poi si diventa curante e curato. E le due cose si intrecciano, a volte stridono, fanno fatica a ridirsi, incrociate. Prima ero io che nella dedizione accudivo, sostenevo, davo sicurezza; adesso sono infragilito al punto tale che mi è necessario, ma mi pesa , che sia mio figlio o mia figlia a prendersi cura. Mi pare possa essere colta qui una sfida antropologica e delicatissima, dentro la quale abita una specifica sfida educativa. Questa estrema vicinanza dei destini nostri, questo legame profondo di destini di persone vulnerabili, e di generazioni vulnerabili, affidate le une alle altre, è sfida, certo, antica, anche se si vive su una soglia inedita. La sfida educativa è seria perché possiamo viaggiare verso un’inedita rottura del patto tra le generazioni. Nelle società avanzate si sta rischiando questo: che le generazioni si rappresentino in conflitto le une alle altre, in conflitto di interessi, in un conflitto di diritti. Diritti acquisiti contro i diritti umani, paradossalmente. Si riuscirà a costruire il senso e, soprattutto, la pratica di una nuova alleanza tra le generazioni, senza restare invischiati in quel gioco ambiguo di debiti, di riconoscenze, di risarcimenti, di meriti, di risentimenti? Si riuscirà a non restare invischiati in questo risucchio di rancori e paure per entrare nella dimensione del ricevere, dell’esporsi, del morire un po’ nelle cose, negli esercizi pratici di prossimità per rendere abitabile la relazione fra noi? Riusciremo a trovare le forme sociali e culturali della dedizione, a costruire per esempio un’educazione che cura le competenze affettive? Riusciremo per esempio a introdurre in modo significativo nelle nostre strategie educative l’incontro con la sofferenza? Riusciremo a reinserire nei percorsi educativi l’attenzione alla domanda, al silenzio per riuscire a vedere come si può dire e si può reggere in questa vita che vede così presto evocata la capacità di attenzione, di silenzio, di avvicinamento a situazioni in cui è l’altro che conduce la danza? È il fragile che la conduce, come sa chi danza. Occorre ricostruire e costruire e praticare nei nostri percorsi educativi il riconoscimento reciproco, la fiducia e la capacità di fronteggiamento nella prova, l’esperienza che può generare energia con e verso altri. Accedere a un percorso educativo non è andare a prendere energie per sé, per poi giocarle nella vita. Può essere anche un’esperienza interessante di generazione con altri di energia, di energia conoscitiva, di costruzione di esperienza, di energia che prende forme di pratiche ed anche forme della ricerca, anche di cose molto sofisticate.
book chapter - capitolo di libro
2006
Lizzola, Ivo
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