L’autore intende affrontare uno fra i temi più spinosi di questi ultimi tempi, ovvero quello della qualità dell’istruzione superiore italiana, allo scopo di rilevare quali sono le fisiologie e le patologie di un sistema alquanto complesso. Riportando le cifre espresse dalle indagini Ocse e dalla Banca d’Italia (nel 2005 il 77,2% dei giovani fra i 22 e i 24 anni sono diplomati o qualificati, presentando come votazione media di uscita dalla scuola secondaria di secondo grado un 73,6/100, mentre per i voti di laurea si raggiunge la media del 103/110), nel prodotto questi risultati sono definiti sbalorditivi dal punto di vista quantitativo, forse figli del “miracolo” berlingueriano della riforma universitaria del 3+2. L’autore si chiede se tali cifre reggano sul piano della qualità, dato che oggi il tasso di scolarizzazione universitaria è del 41%: una cifra straordinaria, di gran lunga superiore a quella dei paesi più industrializzati. A disconferma del luogo comune che in Italia vi siano pochi diplomati e pochi laureati. Per valutare se i dati corrispondano alla realtà, l’articolo procede confrontando gli auspici di Lisbona 2000 e la realtà italiana in fatto di educazione, istruzione e formazione. A tal fine, rileva che il sistema del 3+2 ha sì garantito un numero più elevato di laureati, potenziali soggetti da immettere immediatamente nel mercato del lavoro, ma si chiede quanto questo abbia comportato in termini di perdita di preparazione culturale e di competenze spendibili nella realtà italiana di oggi, tenuto anche conto delle scarse conoscenze in entrata dimostrate dalle matricole. Il quadro che emerge da queste considerazioni, sostiene l’autore, è a tinte forti, molto meno idilliaco di quello dipinto dalle cifre delle ricerche internazionali, ma sicuramente realistico ed attento a quali siano effettivamente i bisogni del Paese e della sua popolazione. Una possibile via di uscita da questo vicolo cieco viene individuata nella “pluralizzazione degli studi superiori”, ove, accanto a percorsi di studi superiori destinati e scelti da chi ami il sapere in sé e per sé come logos, vi siano anche percorsi ove il sapere entri in polemos con le altre forze che muovono la società. A conclusione, nel prodotto si dichiara anche che non è più possibile prescindere dalla scelta di puntare e di rivalorizzare la bistrattata formazione tecnica e professionale superiore non universitaria.

(2006). Patologie di un sistema: l'università italiana tra ipertrofia e deficienze [journal article - articolo]. In ISRE. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/20084

Patologie di un sistema: l'università italiana tra ipertrofia e deficienze

BERTAGNA, Giuseppe
2006-01-01

Abstract

L’autore intende affrontare uno fra i temi più spinosi di questi ultimi tempi, ovvero quello della qualità dell’istruzione superiore italiana, allo scopo di rilevare quali sono le fisiologie e le patologie di un sistema alquanto complesso. Riportando le cifre espresse dalle indagini Ocse e dalla Banca d’Italia (nel 2005 il 77,2% dei giovani fra i 22 e i 24 anni sono diplomati o qualificati, presentando come votazione media di uscita dalla scuola secondaria di secondo grado un 73,6/100, mentre per i voti di laurea si raggiunge la media del 103/110), nel prodotto questi risultati sono definiti sbalorditivi dal punto di vista quantitativo, forse figli del “miracolo” berlingueriano della riforma universitaria del 3+2. L’autore si chiede se tali cifre reggano sul piano della qualità, dato che oggi il tasso di scolarizzazione universitaria è del 41%: una cifra straordinaria, di gran lunga superiore a quella dei paesi più industrializzati. A disconferma del luogo comune che in Italia vi siano pochi diplomati e pochi laureati. Per valutare se i dati corrispondano alla realtà, l’articolo procede confrontando gli auspici di Lisbona 2000 e la realtà italiana in fatto di educazione, istruzione e formazione. A tal fine, rileva che il sistema del 3+2 ha sì garantito un numero più elevato di laureati, potenziali soggetti da immettere immediatamente nel mercato del lavoro, ma si chiede quanto questo abbia comportato in termini di perdita di preparazione culturale e di competenze spendibili nella realtà italiana di oggi, tenuto anche conto delle scarse conoscenze in entrata dimostrate dalle matricole. Il quadro che emerge da queste considerazioni, sostiene l’autore, è a tinte forti, molto meno idilliaco di quello dipinto dalle cifre delle ricerche internazionali, ma sicuramente realistico ed attento a quali siano effettivamente i bisogni del Paese e della sua popolazione. Una possibile via di uscita da questo vicolo cieco viene individuata nella “pluralizzazione degli studi superiori”, ove, accanto a percorsi di studi superiori destinati e scelti da chi ami il sapere in sé e per sé come logos, vi siano anche percorsi ove il sapere entri in polemos con le altre forze che muovono la società. A conclusione, nel prodotto si dichiara anche che non è più possibile prescindere dalla scelta di puntare e di rivalorizzare la bistrattata formazione tecnica e professionale superiore non universitaria.
journal article - articolo
2006
Bertagna, Giuseppe
(2006). Patologie di un sistema: l'università italiana tra ipertrofia e deficienze [journal article - articolo]. In ISRE. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/20084
File allegato/i alla scheda:
Non ci sono file allegati a questa scheda.
Pubblicazioni consigliate

Aisberg ©2008 Servizi bibliotecari, Università degli studi di Bergamo | Terms of use/Condizioni di utilizzo

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10446/20084
Citazioni
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact