Quando parliamo di legittimità delle affermazioni scientifiche occorre precisare a che tipo di scienza facciamo riferimento, e quale epistemologia implicita la sostiene. Nella visione tradizionale, come abbiamo notato, la ricerca si basa su un ideale di razionalità disincarnata, che trova la sua realizzazione nell’oggettività dei protocolli e nell’impersonalità delle osservazioni. L’orientamento qualitativo individua invece nella riflessività e nella relazione intersoggettiva i presupposti della propria attività conoscitiva, e fonda il suo rigore non sul rispetto di criteri di proceduralità astratta, ma viceversa proprio sulla capacità di stabilire connessioni forti con il contesto e allo stesso tempo di «rendere conto» di tali connessioni e del loro processo evolutivo. Per questo motivo anche la restituzione dell’indagine non si risolve in una semplice analisi dei dati, ma tende piuttosto a prendere le forme del racconto, della «storia naturale» dell’inchiesta, in cui il momento della scrittura non è rivolto a fornire uno scarno e oggettivo resoconto delle conclusioni, ma diviene piuttosto una diversa fase della ricerca e del suo itinerario complessivo.In questo radicamento risiede la forza e insieme il limite dell’approccio qualitativo: la sua versatilità, che permette di ricostruire l’organizzazione dei significati all’interno di particolari contesti, consente una comprensione profonda («densa») ma circoscritta, che non dà luogo a previsioni su larga scala ma rende possibile forme di generalizzazione specifica, prossimale e cross-contestuale. E partire da tale legame con il contesto va letto anche il rapporto che la ricerca qualitativa istituisce tra analisi e intervento, riflessione e azione. La riflessività postulata dall’indagine qualitativa non va intesa come un percorso puramente introspettivo di elaborazione interiore, ma si realizza piuttosto attraverso un processo che mette in stretta relazione, in modo circolare e autopoietico, conoscere ed agire. La ricerca tradizionale, con il suo culto dell’astrazione, tende a svincolare la teoria dalla pratica, a considerare cognizione e prassi due attività distinte di cui la seconda è subordinata alla prima. Orientare la ricerca in senso qualitativo significa riconoscere allora che la teoria è strettamente connessa alla praxis, alle modalità di partecipazione al mondo proprie del ricercatore e dei soggetti che prendono parte all’indagine; la conoscenza è il risultato di questo legame, in quanto configurazione complessa e situata di proprietà che emergono dall’interazione. Si apre così la strada a una concezione della ricerca che non si ferma alla produzione di descrizioni (solo apparentemente oggettive, neutrali e super partes), ma al contrario trova proprio nell’accuratezza del coinvolgimento dei/con gli attori dell’indagine – nel «prendere parte» – la sua ragione più profonda. Fare ricerca qualitativa non significa dunque semplicemente adottare metodologie soft o privilegiare alcuni strumenti rispetto ad altri, ma provare a tenere insieme sperimentazione, invenzione e ricerca attraverso lo stabilirsi di un rapporto comprendente e coevolutivo con i soggetti dell’indagine e il loro contesto. Ciò è possibile solo se l’identificazione delle dimensioni valoriali implicate nell’attività di ricerca non rimane confinata a vaghe mozioni di principio (o a generici decaloghi del «bravo ricercatore» relativi alle questioni dell’anonimato, della privacy ecc.), ma viene riconosciuta come premessa alla costruzione di un’etica situata, concreta e priva di certezze apodittiche. Un’etica frutto di un percorso di negoziazione, che non può mai considerarsi completamente chiuso proprio perché nella ricerca coglie non solo la dimensione rappresentativa dell’esistente ma anche quella generativa, di possibile cambiamento e trasformazione della realtà.

La ricerca qualitativa: piccola cartografia portatile

DOVIGO, Fabio
2005-01-01

Abstract

Quando parliamo di legittimità delle affermazioni scientifiche occorre precisare a che tipo di scienza facciamo riferimento, e quale epistemologia implicita la sostiene. Nella visione tradizionale, come abbiamo notato, la ricerca si basa su un ideale di razionalità disincarnata, che trova la sua realizzazione nell’oggettività dei protocolli e nell’impersonalità delle osservazioni. L’orientamento qualitativo individua invece nella riflessività e nella relazione intersoggettiva i presupposti della propria attività conoscitiva, e fonda il suo rigore non sul rispetto di criteri di proceduralità astratta, ma viceversa proprio sulla capacità di stabilire connessioni forti con il contesto e allo stesso tempo di «rendere conto» di tali connessioni e del loro processo evolutivo. Per questo motivo anche la restituzione dell’indagine non si risolve in una semplice analisi dei dati, ma tende piuttosto a prendere le forme del racconto, della «storia naturale» dell’inchiesta, in cui il momento della scrittura non è rivolto a fornire uno scarno e oggettivo resoconto delle conclusioni, ma diviene piuttosto una diversa fase della ricerca e del suo itinerario complessivo.In questo radicamento risiede la forza e insieme il limite dell’approccio qualitativo: la sua versatilità, che permette di ricostruire l’organizzazione dei significati all’interno di particolari contesti, consente una comprensione profonda («densa») ma circoscritta, che non dà luogo a previsioni su larga scala ma rende possibile forme di generalizzazione specifica, prossimale e cross-contestuale. E partire da tale legame con il contesto va letto anche il rapporto che la ricerca qualitativa istituisce tra analisi e intervento, riflessione e azione. La riflessività postulata dall’indagine qualitativa non va intesa come un percorso puramente introspettivo di elaborazione interiore, ma si realizza piuttosto attraverso un processo che mette in stretta relazione, in modo circolare e autopoietico, conoscere ed agire. La ricerca tradizionale, con il suo culto dell’astrazione, tende a svincolare la teoria dalla pratica, a considerare cognizione e prassi due attività distinte di cui la seconda è subordinata alla prima. Orientare la ricerca in senso qualitativo significa riconoscere allora che la teoria è strettamente connessa alla praxis, alle modalità di partecipazione al mondo proprie del ricercatore e dei soggetti che prendono parte all’indagine; la conoscenza è il risultato di questo legame, in quanto configurazione complessa e situata di proprietà che emergono dall’interazione. Si apre così la strada a una concezione della ricerca che non si ferma alla produzione di descrizioni (solo apparentemente oggettive, neutrali e super partes), ma al contrario trova proprio nell’accuratezza del coinvolgimento dei/con gli attori dell’indagine – nel «prendere parte» – la sua ragione più profonda. Fare ricerca qualitativa non significa dunque semplicemente adottare metodologie soft o privilegiare alcuni strumenti rispetto ad altri, ma provare a tenere insieme sperimentazione, invenzione e ricerca attraverso lo stabilirsi di un rapporto comprendente e coevolutivo con i soggetti dell’indagine e il loro contesto. Ciò è possibile solo se l’identificazione delle dimensioni valoriali implicate nell’attività di ricerca non rimane confinata a vaghe mozioni di principio (o a generici decaloghi del «bravo ricercatore» relativi alle questioni dell’anonimato, della privacy ecc.), ma viene riconosciuta come premessa alla costruzione di un’etica situata, concreta e priva di certezze apodittiche. Un’etica frutto di un percorso di negoziazione, che non può mai considerarsi completamente chiuso proprio perché nella ricerca coglie non solo la dimensione rappresentativa dell’esistente ma anche quella generativa, di possibile cambiamento e trasformazione della realtà.
book chapter - capitolo di libro
2005
Dovigo, Fabio
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10446/20744
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