Tra i luoghi della cura medica la medicina dei trapianti appare come un “crocevia” affollato di soggetti che si incontrano, pongono domande, decidono, vivono attese e orientamenti di valore. Il processo di cura lì è vissuto anche come processo di costruzione e ricostruzione di significati. Le scelte linguistiche fatte durante le comunicazioni legate alla donazione ed al trapianto cercano trasparenze più che sostituzioni eufemistiche. Ma non evitano, a volte, la neutralizzazione di uno scambio comunicativo tra soggetti morali in uno spazio comune. In TI è la parola della dichiarazione di morte encefalica che rende “cadavere” e potenziale “donatore” il paziente. E il donatore è reso tale dalla decisione di altri, per lo più al di fuori di dialoghi e narrazioni condivise. Le famiglie, le reti di prossimità dei pazienti di un Pronto Soccorso o di una Rianimazione vengono incontrate su una frattura, come su una faglia, che scompone, giorni, relazioni, paesaggi. Lì si vivono momenti ravvicinati di risimbolizzazione affettiva profonda delle figure, del contesto di vita. Donazione e trapianto diventano uno dei luoghi della prossimità e della cura: di una reciprocità non equivalente, fraternità in assenza. Occorre evitare di concentrare l’attenzione solo sulla questione della “disponibilità” di organi, “risorsa scarsa”, sul dono oggetto occorre riportarsi piuttosto sul dono gesto di incontro e di prossimità. Costruire un rapporto con la propria morte, con la finitudine del proprio corpo può far cogliere il corpo capace di serbare comunque una dimensione di dono, anche in-fine

(2007). Le diverse culture in relazione alla donazione e al trapianto: una difficile trasparenza [conference presentation - intervento a convegno]. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/21267

Le diverse culture in relazione alla donazione e al trapianto: una difficile trasparenza

LIZZOLA, Ivo
2007-01-01

Abstract

Tra i luoghi della cura medica la medicina dei trapianti appare come un “crocevia” affollato di soggetti che si incontrano, pongono domande, decidono, vivono attese e orientamenti di valore. Il processo di cura lì è vissuto anche come processo di costruzione e ricostruzione di significati. Le scelte linguistiche fatte durante le comunicazioni legate alla donazione ed al trapianto cercano trasparenze più che sostituzioni eufemistiche. Ma non evitano, a volte, la neutralizzazione di uno scambio comunicativo tra soggetti morali in uno spazio comune. In TI è la parola della dichiarazione di morte encefalica che rende “cadavere” e potenziale “donatore” il paziente. E il donatore è reso tale dalla decisione di altri, per lo più al di fuori di dialoghi e narrazioni condivise. Le famiglie, le reti di prossimità dei pazienti di un Pronto Soccorso o di una Rianimazione vengono incontrate su una frattura, come su una faglia, che scompone, giorni, relazioni, paesaggi. Lì si vivono momenti ravvicinati di risimbolizzazione affettiva profonda delle figure, del contesto di vita. Donazione e trapianto diventano uno dei luoghi della prossimità e della cura: di una reciprocità non equivalente, fraternità in assenza. Occorre evitare di concentrare l’attenzione solo sulla questione della “disponibilità” di organi, “risorsa scarsa”, sul dono oggetto occorre riportarsi piuttosto sul dono gesto di incontro e di prossimità. Costruire un rapporto con la propria morte, con la finitudine del proprio corpo può far cogliere il corpo capace di serbare comunque una dimensione di dono, anche in-fine
2007
Lizzola, Ivo
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