Il lavoro inaugura uno studio sistematico della produzione tragica di Silvio Pellico, attraverso un’attenta ricognizione dell’epistolario e una puntuale e approfondita rilettura degli scritti teorici e dell’attività recensoria dell’autore. Viene così non solo ribadito il ruolo strategico di Pellico, che, come autore della "Francesca da Rimini", già appariva ai contemporanei il vero apripista, in ambito italiano, della stagione drammaturgica romantica. Viene altresì ricomposta in una sintesi definitiva la posizione di Pellico, tra l’entusiastica adesione alle novità europee, i cauti sperimentalismi degli anni Venti-Trenta e un apparente ritorno all’ordine, determinato dalla nuova tensione spirituale e dall’arretramento ideologico conseguenti alla dura e lunga prigionia allo Spielberg. Prima di sottoporre a rilettura il corpus della sua produzione tragica (oggetto di lavori futuri e, in alcuni casi, già d’imminente pubblicazione), si rendeva necessario un vaglio dei rapporti, contraddittori ma tutt’altro che fragili, con i maestri nazionali (Alfieri, Foscolo, Monti), nonché dei debiti contratti nei confronti dei latori di nuove proposte drammaturgiche, sia nel contesto italiano (Manzoni) sia in ambito europeo (Schiller, Chénier, tra gli altri). Risultato maggiore del saggio è di riconfigurare Pellico come autore chiave nel passaggio da modelli di matrice classicista e tardo-settecentesca a un moderno senso del tragico. Pellico, di fatto, contribuisce a rifondare e riformulare gli assunti estetici del genere così da travalicare la forse troppo perentoria valutazione di George Steiner, che all’inizio degli anni ’60 postulava una “morte della tragedia” da collocarsi a inizio Ottocento.
Oltre i confini superiori dell'uomo tragico: Silvio Pellico tra teoria e prassi drammaturgica
SIRTORI, Marco
2009-01-01
Abstract
Il lavoro inaugura uno studio sistematico della produzione tragica di Silvio Pellico, attraverso un’attenta ricognizione dell’epistolario e una puntuale e approfondita rilettura degli scritti teorici e dell’attività recensoria dell’autore. Viene così non solo ribadito il ruolo strategico di Pellico, che, come autore della "Francesca da Rimini", già appariva ai contemporanei il vero apripista, in ambito italiano, della stagione drammaturgica romantica. Viene altresì ricomposta in una sintesi definitiva la posizione di Pellico, tra l’entusiastica adesione alle novità europee, i cauti sperimentalismi degli anni Venti-Trenta e un apparente ritorno all’ordine, determinato dalla nuova tensione spirituale e dall’arretramento ideologico conseguenti alla dura e lunga prigionia allo Spielberg. Prima di sottoporre a rilettura il corpus della sua produzione tragica (oggetto di lavori futuri e, in alcuni casi, già d’imminente pubblicazione), si rendeva necessario un vaglio dei rapporti, contraddittori ma tutt’altro che fragili, con i maestri nazionali (Alfieri, Foscolo, Monti), nonché dei debiti contratti nei confronti dei latori di nuove proposte drammaturgiche, sia nel contesto italiano (Manzoni) sia in ambito europeo (Schiller, Chénier, tra gli altri). Risultato maggiore del saggio è di riconfigurare Pellico come autore chiave nel passaggio da modelli di matrice classicista e tardo-settecentesca a un moderno senso del tragico. Pellico, di fatto, contribuisce a rifondare e riformulare gli assunti estetici del genere così da travalicare la forse troppo perentoria valutazione di George Steiner, che all’inizio degli anni ’60 postulava una “morte della tragedia” da collocarsi a inizio Ottocento.Pubblicazioni consigliate
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