Il saggio propone una lettura originale dei romanzi storici come luoghi di emergenza della pratica romantica dell'ecfrasi musicale. Solo in un genere di per sé ibrido, come il romanzo storico, era infatti possibile per gli italiani azzardare una programmatica importazione del linguaggio musicale, a fronte di un quadro teorico frammentario, ricostruito da Marco Sirtori nelle prime pagine del suo saggio. Se i nostri romantici (Visconti, Berchet, di Breme) muovono timidamente verso uno scardinamento del sistema delle arti che emancipi la musica dal suo tradizionale ruolo ancillare, Manzoni resta refrattario a ogni contaminazione tra letteratura e arti performative. I promessi sposi, lontani dal costituire un modello per la nascente produzione seriale di romanzi storici, esercitano una pressione inibitoria su ogni forma di moderna ecfrasi musicale. È Walter Scott a suggerire l’inserimento inflazionistico di scene di canto, volte ad appagare il gusto per fondali storico-pittoreschi ad alto gradimento. In Italia, l’adozione di una grammatica musicale avviene, d’altra parte, per intermediazione del melodramma coevo, sia su un piano progettuale (anche se, in sostanza, la proposta resta inapplicabile, se non metaforicamente), sia fattuale (in questo senso, il Marco Visconti del Grossi si presenta come specimen nell’impiego del canto in funzione narratologica). Nel suo farsi strumento di propaganda risorgimentale, il romanzo storico di Guerrazzi, infine, diviene laboratorio di quella poesia per musica che, con un’enfasi che oggi può apparire ai nostri occhi banalizzante, costituirà il primo, forse rozzo linguaggio degli italiani.

(2013). Musica e canto nel romanzo storico italiano (1827-1864) [book chapter - capitolo di libro]. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/29521

Musica e canto nel romanzo storico italiano (1827-1864)

SIRTORI, Marco
2013-01-01

Abstract

Il saggio propone una lettura originale dei romanzi storici come luoghi di emergenza della pratica romantica dell'ecfrasi musicale. Solo in un genere di per sé ibrido, come il romanzo storico, era infatti possibile per gli italiani azzardare una programmatica importazione del linguaggio musicale, a fronte di un quadro teorico frammentario, ricostruito da Marco Sirtori nelle prime pagine del suo saggio. Se i nostri romantici (Visconti, Berchet, di Breme) muovono timidamente verso uno scardinamento del sistema delle arti che emancipi la musica dal suo tradizionale ruolo ancillare, Manzoni resta refrattario a ogni contaminazione tra letteratura e arti performative. I promessi sposi, lontani dal costituire un modello per la nascente produzione seriale di romanzi storici, esercitano una pressione inibitoria su ogni forma di moderna ecfrasi musicale. È Walter Scott a suggerire l’inserimento inflazionistico di scene di canto, volte ad appagare il gusto per fondali storico-pittoreschi ad alto gradimento. In Italia, l’adozione di una grammatica musicale avviene, d’altra parte, per intermediazione del melodramma coevo, sia su un piano progettuale (anche se, in sostanza, la proposta resta inapplicabile, se non metaforicamente), sia fattuale (in questo senso, il Marco Visconti del Grossi si presenta come specimen nell’impiego del canto in funzione narratologica). Nel suo farsi strumento di propaganda risorgimentale, il romanzo storico di Guerrazzi, infine, diviene laboratorio di quella poesia per musica che, con un’enfasi che oggi può apparire ai nostri occhi banalizzante, costituirà il primo, forse rozzo linguaggio degli italiani.
book chapter - capitolo di libro
2013
Sirtori, Marco
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