Il volume si pone l’obiettivo di analizzare l’istituto dell’accertamento incidentale ex lege. Punto di partenza imprescindibile è l’analisi dell’art. 34 c.p.c., disposizione che si mostra insufficiente sotto svariati profili, primo fra tutti quello della sua collocazione in seno alle norme dedicate alle modificazioni della competenza per ragioni di connessione: ciò, infatti, ha indotto taluni studiosi a limitare fortemente l’efficacia sistematica dell’art. 34 c.p.c., sino a negare che lo stesso assolva la funzione di fissare le regole generali per l’estensione oggettiva del giudicato. In tale prospettiva, pertanto, la disposizione in oggetto avrebbe solo il limitato fine di risolvere il problema che si pone allorché il rapporto pregiudiziale esuli dalla competenza del giudice adito. Tale visione è certamente semplificante, ma riduttiva, né chiarisce la reale essenza dell’accertamento incidentale e della sua incidenza circa l’estensione oggettiva del giudicato, né, soprattutto, è in grado di spiegare il fenomeno dell’accertamento incidentale ex lege. Il solo punto fermo circa le reali tematiche interessate dall’art. 34 c.p.c. che è dato rinvenire consiste nello scarno riferimento – contenuto, rispettivamente, nella lettera della norma citata e della sua rubrica – alle nozioni di questione pregiudiziale e di accertamento incidentale: figure di cui, peraltro, non è fornita alcuna definizione legislativa. La monografia muove da una prospettiva dogmatico-sistematica, che prende avvio dalle origini dell’art. 34 c.p.c.: disposizione che, secondo un’interpretazione largamente condivisa, cristallizza la teoria di Chiovenda alla cui stregua le questioni che assumono carattere di antecedente logico rispetto alla decisione sulla domanda principale sono, di regola, affrontate e decise dal giudice con effetto solo meramente endoprocessuale, a meno che un’apposita domanda di parte o la legge impongano di decidere con efficacia di giudicato anche la pregiudiziale. In punto, l’elaborato giunge alla conclusione che l’analisi dell’etimo pregiudizialità non ha, di per sé, alcuna portata dirimente, in quanto nel corso del tempo – a partire dal diritto romano e sino ai giorni nostri – esso ha assunto una molteplice varietà semantica, all’interno della quale l’unico nucleo costante è costituto dall’idea di prevenzione, concetto con cui si indica la capacità della decisione di una questione di condizionare la risoluzione di un’ulteriore controversia. In sintesi, secondo l’impostazione prevalente, le questioni di cui all’art. 34 c.p.c. presentano la caratteristica di essere contestualmente dotate di autonomia, ossia di essere potenzialmente idonee a fondare un autonomo giudizio, e d’integrare la fattispecie costitutiva del diritto controverso che si assume pregiudicato, di talché la loro previa decisione si impone come un antecedente logico rispetto alla pronuncia sul diritto controverso che si assume pregiudicato. Per tale ragione, lo studio giunge alla conclusione che sono escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 34 c.p.c. le questioni pregiudiziali di puro rito, nonché le questioni di merito che, seppure idonee a definire anticipatamente il giudizio, sono prive del carattere di autonomia sopra descritto (il riferimento è alle c.d. questioni preliminari di merito). Oggetto della disciplina di cui all’art. 34 c.p.c. sono, dunque, le sole c.d. questioni pregiudiziali di merito. La monografia enuncia come il primo ed originario nucleo della disciplina della pregiudizialità e, segnatamente, degli incidenti relativi alla risoluzione delle questioni pregiudiziali, con il problema dell’efficacia da attribuire alla loro decisione, sia rinvenibile già nel diritto romano. In seguito, soltanto con l’avvento delle grandi codificazioni ottocentesche, si tornò a studiare compiutamente la materia. Nel riportare lo studio all’epoca attuale, l’elaborato effettua una ricognizione di alcuni dei principali ordinamenti giuridici, al fine di effettuare una comparazione. Emerge, così, che in Germania l’accertamento incidentale con efficacia di giudicato è ammissibile solo su domanda di parte, attraverso l’istituto dell’Inzidentfestellungsklage, mentre non è riconosciuto alcuno spazio all’accertamento incidentale per volontà di legge, come dimostrano i lavori preparatori della ZPO tedesca. Al contrario, in Francia, le questions préjudicielles sono sempre decise con effetto di giudicato, ma per ragioni di juridiction: esse, invero, sono riservate dalla legge alla cognizione di specifici giudici e ciò impone la soluzione indicata come una scelta obbligata, a fronte di casi che, a ben vedere, integrano ipotesi di pregiudizialità esterna. La dottrina e la giurisprudenza francesi più recenti, tuttavia – riecheggiando le tesi di Savigny in punto di effetto positivo del giudicato – mostrano un’inversione di tendenza e propendono per l’estensione del giudicato anche ad elementi semplicemente inclusi nella motivazione della sentenza e non oggetto di specifica domanda. Tale differente opzione interpretativa risente dell’influsso evidente dell’esperienza di Common Law in tema di collateral estoppel, istituto che muove da una valorizzazione della parte motiva della sentenza, nella prospettiva di evitare che un punto già deciso in precedenza possa essere oggetto di nuova discussione in una causa successiva. Dalla disamina così compiuta, si evince che il nostro ordinamento ha optato per un compromesso: il regime che scaturisce dall’art. 34 c.p.c. consente in ogni caso la decisione, sebbene solo con effetti meramente endoprocessuali, della questione pregiudiziale, ma, per quanto concerne l’estensione del giudicato, la legge continua ad ossequiare il principio dispositivo e della domanda. Il giudicato sulla questione pregiudiziale può formarsi solo in presenza di una specifica domanda di parte oppure di una precisa volontà del legislatore in tal senso. La monografia affronta, quindi, il problema dell’individuazione di un possibile criterio idoneo ad individuare i casi di accertamento incidentale ex lege, stante il silenzio in argomento da parte dell’art. 34 c.p.c. Il metodo utilizzato è quello dell’esame delle ipotesi individuabili alla luce della dottrina e della giurisprudenza, con l’intento non solo di illustrare la singola fattispecie, ma di studiarne la configurazione al fine di trarre elementi che consentano di estrapolare una ratio comune, onde elaborare un principio generale. Per contrapposizione, sono state, poi, esaminate una serie di fattispecie che solo apparentemente integrano casi di accertamento incidentale ex lege e, per ciascuna di esse, pur se spesso non è in discussione il dato che la relativa questione debba essere decisa con effetto di giudicato, è stata è fornita una spiegazione circa la loro esclusione dallo specifico ambito di operatività dell’art. 34 c.p.c. Lo studio congiunto delle tre principali ipotesi individuate tradizionalmente come casi certi di accertamento incidentale ex lege, relative alle questioni di stato, di falso e compensazione – quest’ultima anche in rapporto alla rimodulata disciplina dell’eccezione di compensazione nell’arbitrato – ha consentito di enunciare un principio generale: soltanto un interesse sopraindividuale può giustificare l’estensione del giudicato in difetto della specifica domanda di parte e, dunque, l’accertamento incidentale ex lege, poiché è unicamente un interesse di matrice pubblicistica che è in grado di trascendere i principi, di natura puramente individuale, di disponibilità esclusiva dell’oggetto del processo in capo alla parte e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. L’elaborato, a questo punto, si occupa di esaminare il profilo della disciplina delle modalità e dei tempi di emersione della cognizione incidentale con effetto di giudicato, in quanto aspetto non espressamente disciplinato dall’art. 34 c.p.c. Il nodo essenziale che lo studio cerca di sciogliere attiene all’interrogativo se sia sufficiente la previsione di un accertamento incidentale ex lege a far sorgere automaticamente l’efficacia di giudicato della decisione delle questioni pregiudiziali, in ragione della loro semplice emersione nell’ambito del giudizio, ovvero se occorra un’iniziativa officiosa del giudice che si sostituisca a quella della parte. In punto, la conclusione raggiunta indica come maggiormente condivisibile la tesi che, oltre alla mera previsione legale, richiede anche che sulla questione sia provocato dal giudice il contraddittorio, nell’esercizio del proprio dovere-potere di indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, segnalando così alle stesse che la pregiudiziale sarà oggetto di espressa decisione con effetto di giudicato. Tale conclusione, che ricollega l’accertamento incidentale ex lege alla necessità di un’iniziativa officiosa nei termini sopra descritti, è preferibile perché meglio si accorda con l’efficacia precettiva dell’art. 183 c.p.c., oltre che con il dovere di collaborazione del giudice con le parti, individuato dalla dottrina. Quanto alla collegata tematica dei limiti cronologici per l’emersione dell’accertamento incidentale ex lege, l’iniziativa ex officio volta a indicare alle parti le questioni pregiudiziali che saranno oggetto di detto specifico accertamento deve essere espletata nel rispetto delle scansioni temporali di cui all’art. 183 c.p.c. Infine, l’analisi si chiude con un raffronto delle conclusioni sin qui raggiunte dall’elaborato con un tema classico, che concerne l’annoso problema dell’estensione del giudicato alle questioni: uno dei numerosi temi controversi che, più in generale, riguardano i limiti oggettivi del giudicato. Ed, invero, problemi significativi nella corretta determinazione di ciò che è coperto dal giudicato si pongono ponendosi nella prospettiva dinamica della decisione della controversia, nel suo formarsi e divenire tale all’interno del percorso logico-giuridico seguito dal giudice e di cui si trova traccia nella sentenza: difatti, al di là della tradizionale distinzione tra parte motiva e dispositiva della pronuncia, in concreto non è sempre chiaro quali parti della sentenza siano effettivamente suscettibili di passare in giudicato e quali, invece, abbiano la più limitata funzione di chiarire e verificare il ragionamento del giudicante in rapporto alla decisione finale. In argomento, lo studio illustra come l’esame della giurisprudenza e di alcune, seppure isolate, posizioni dottrinali mostrino la tendenza a cercare di ampliare i limiti oggettivi del giudicato attraverso una revisione delle teorie tradizionali che escludono i motivi del decidere dalla vincolatività del giudicato. In punto, la conclusione che è individuata è che proprio la formulazione farraginosa dell’art. 34 c.p.c. ha consentito di aprire la via all’enunciazione di teorie alternative; ciò nonostante, rimane un punto fermo il rilievo che il nostro ordinamento ha orientato la propria scelta in favore di un modello che prevede, come regola base, lo schema della mera cognitio incidenter tantum della questione, salvo far prevalere lo schema dell’actio, ossia dell’accertamento in via principale, solo in presenza di un’apposita domanda di parte o della volontà della legge (quest’ultima nei limiti e nei modi illustrati nell’elaborato).

(2008). L’accertamento incidentale ex lege: profili [book - libro]. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/21894

L’accertamento incidentale ex lege: profili

LOCATELLI, Francesca
2008-01-01

Abstract

Il volume si pone l’obiettivo di analizzare l’istituto dell’accertamento incidentale ex lege. Punto di partenza imprescindibile è l’analisi dell’art. 34 c.p.c., disposizione che si mostra insufficiente sotto svariati profili, primo fra tutti quello della sua collocazione in seno alle norme dedicate alle modificazioni della competenza per ragioni di connessione: ciò, infatti, ha indotto taluni studiosi a limitare fortemente l’efficacia sistematica dell’art. 34 c.p.c., sino a negare che lo stesso assolva la funzione di fissare le regole generali per l’estensione oggettiva del giudicato. In tale prospettiva, pertanto, la disposizione in oggetto avrebbe solo il limitato fine di risolvere il problema che si pone allorché il rapporto pregiudiziale esuli dalla competenza del giudice adito. Tale visione è certamente semplificante, ma riduttiva, né chiarisce la reale essenza dell’accertamento incidentale e della sua incidenza circa l’estensione oggettiva del giudicato, né, soprattutto, è in grado di spiegare il fenomeno dell’accertamento incidentale ex lege. Il solo punto fermo circa le reali tematiche interessate dall’art. 34 c.p.c. che è dato rinvenire consiste nello scarno riferimento – contenuto, rispettivamente, nella lettera della norma citata e della sua rubrica – alle nozioni di questione pregiudiziale e di accertamento incidentale: figure di cui, peraltro, non è fornita alcuna definizione legislativa. La monografia muove da una prospettiva dogmatico-sistematica, che prende avvio dalle origini dell’art. 34 c.p.c.: disposizione che, secondo un’interpretazione largamente condivisa, cristallizza la teoria di Chiovenda alla cui stregua le questioni che assumono carattere di antecedente logico rispetto alla decisione sulla domanda principale sono, di regola, affrontate e decise dal giudice con effetto solo meramente endoprocessuale, a meno che un’apposita domanda di parte o la legge impongano di decidere con efficacia di giudicato anche la pregiudiziale. In punto, l’elaborato giunge alla conclusione che l’analisi dell’etimo pregiudizialità non ha, di per sé, alcuna portata dirimente, in quanto nel corso del tempo – a partire dal diritto romano e sino ai giorni nostri – esso ha assunto una molteplice varietà semantica, all’interno della quale l’unico nucleo costante è costituto dall’idea di prevenzione, concetto con cui si indica la capacità della decisione di una questione di condizionare la risoluzione di un’ulteriore controversia. In sintesi, secondo l’impostazione prevalente, le questioni di cui all’art. 34 c.p.c. presentano la caratteristica di essere contestualmente dotate di autonomia, ossia di essere potenzialmente idonee a fondare un autonomo giudizio, e d’integrare la fattispecie costitutiva del diritto controverso che si assume pregiudicato, di talché la loro previa decisione si impone come un antecedente logico rispetto alla pronuncia sul diritto controverso che si assume pregiudicato. Per tale ragione, lo studio giunge alla conclusione che sono escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 34 c.p.c. le questioni pregiudiziali di puro rito, nonché le questioni di merito che, seppure idonee a definire anticipatamente il giudizio, sono prive del carattere di autonomia sopra descritto (il riferimento è alle c.d. questioni preliminari di merito). Oggetto della disciplina di cui all’art. 34 c.p.c. sono, dunque, le sole c.d. questioni pregiudiziali di merito. La monografia enuncia come il primo ed originario nucleo della disciplina della pregiudizialità e, segnatamente, degli incidenti relativi alla risoluzione delle questioni pregiudiziali, con il problema dell’efficacia da attribuire alla loro decisione, sia rinvenibile già nel diritto romano. In seguito, soltanto con l’avvento delle grandi codificazioni ottocentesche, si tornò a studiare compiutamente la materia. Nel riportare lo studio all’epoca attuale, l’elaborato effettua una ricognizione di alcuni dei principali ordinamenti giuridici, al fine di effettuare una comparazione. Emerge, così, che in Germania l’accertamento incidentale con efficacia di giudicato è ammissibile solo su domanda di parte, attraverso l’istituto dell’Inzidentfestellungsklage, mentre non è riconosciuto alcuno spazio all’accertamento incidentale per volontà di legge, come dimostrano i lavori preparatori della ZPO tedesca. Al contrario, in Francia, le questions préjudicielles sono sempre decise con effetto di giudicato, ma per ragioni di juridiction: esse, invero, sono riservate dalla legge alla cognizione di specifici giudici e ciò impone la soluzione indicata come una scelta obbligata, a fronte di casi che, a ben vedere, integrano ipotesi di pregiudizialità esterna. La dottrina e la giurisprudenza francesi più recenti, tuttavia – riecheggiando le tesi di Savigny in punto di effetto positivo del giudicato – mostrano un’inversione di tendenza e propendono per l’estensione del giudicato anche ad elementi semplicemente inclusi nella motivazione della sentenza e non oggetto di specifica domanda. Tale differente opzione interpretativa risente dell’influsso evidente dell’esperienza di Common Law in tema di collateral estoppel, istituto che muove da una valorizzazione della parte motiva della sentenza, nella prospettiva di evitare che un punto già deciso in precedenza possa essere oggetto di nuova discussione in una causa successiva. Dalla disamina così compiuta, si evince che il nostro ordinamento ha optato per un compromesso: il regime che scaturisce dall’art. 34 c.p.c. consente in ogni caso la decisione, sebbene solo con effetti meramente endoprocessuali, della questione pregiudiziale, ma, per quanto concerne l’estensione del giudicato, la legge continua ad ossequiare il principio dispositivo e della domanda. Il giudicato sulla questione pregiudiziale può formarsi solo in presenza di una specifica domanda di parte oppure di una precisa volontà del legislatore in tal senso. La monografia affronta, quindi, il problema dell’individuazione di un possibile criterio idoneo ad individuare i casi di accertamento incidentale ex lege, stante il silenzio in argomento da parte dell’art. 34 c.p.c. Il metodo utilizzato è quello dell’esame delle ipotesi individuabili alla luce della dottrina e della giurisprudenza, con l’intento non solo di illustrare la singola fattispecie, ma di studiarne la configurazione al fine di trarre elementi che consentano di estrapolare una ratio comune, onde elaborare un principio generale. Per contrapposizione, sono state, poi, esaminate una serie di fattispecie che solo apparentemente integrano casi di accertamento incidentale ex lege e, per ciascuna di esse, pur se spesso non è in discussione il dato che la relativa questione debba essere decisa con effetto di giudicato, è stata è fornita una spiegazione circa la loro esclusione dallo specifico ambito di operatività dell’art. 34 c.p.c. Lo studio congiunto delle tre principali ipotesi individuate tradizionalmente come casi certi di accertamento incidentale ex lege, relative alle questioni di stato, di falso e compensazione – quest’ultima anche in rapporto alla rimodulata disciplina dell’eccezione di compensazione nell’arbitrato – ha consentito di enunciare un principio generale: soltanto un interesse sopraindividuale può giustificare l’estensione del giudicato in difetto della specifica domanda di parte e, dunque, l’accertamento incidentale ex lege, poiché è unicamente un interesse di matrice pubblicistica che è in grado di trascendere i principi, di natura puramente individuale, di disponibilità esclusiva dell’oggetto del processo in capo alla parte e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. L’elaborato, a questo punto, si occupa di esaminare il profilo della disciplina delle modalità e dei tempi di emersione della cognizione incidentale con effetto di giudicato, in quanto aspetto non espressamente disciplinato dall’art. 34 c.p.c. Il nodo essenziale che lo studio cerca di sciogliere attiene all’interrogativo se sia sufficiente la previsione di un accertamento incidentale ex lege a far sorgere automaticamente l’efficacia di giudicato della decisione delle questioni pregiudiziali, in ragione della loro semplice emersione nell’ambito del giudizio, ovvero se occorra un’iniziativa officiosa del giudice che si sostituisca a quella della parte. In punto, la conclusione raggiunta indica come maggiormente condivisibile la tesi che, oltre alla mera previsione legale, richiede anche che sulla questione sia provocato dal giudice il contraddittorio, nell’esercizio del proprio dovere-potere di indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, segnalando così alle stesse che la pregiudiziale sarà oggetto di espressa decisione con effetto di giudicato. Tale conclusione, che ricollega l’accertamento incidentale ex lege alla necessità di un’iniziativa officiosa nei termini sopra descritti, è preferibile perché meglio si accorda con l’efficacia precettiva dell’art. 183 c.p.c., oltre che con il dovere di collaborazione del giudice con le parti, individuato dalla dottrina. Quanto alla collegata tematica dei limiti cronologici per l’emersione dell’accertamento incidentale ex lege, l’iniziativa ex officio volta a indicare alle parti le questioni pregiudiziali che saranno oggetto di detto specifico accertamento deve essere espletata nel rispetto delle scansioni temporali di cui all’art. 183 c.p.c. Infine, l’analisi si chiude con un raffronto delle conclusioni sin qui raggiunte dall’elaborato con un tema classico, che concerne l’annoso problema dell’estensione del giudicato alle questioni: uno dei numerosi temi controversi che, più in generale, riguardano i limiti oggettivi del giudicato. Ed, invero, problemi significativi nella corretta determinazione di ciò che è coperto dal giudicato si pongono ponendosi nella prospettiva dinamica della decisione della controversia, nel suo formarsi e divenire tale all’interno del percorso logico-giuridico seguito dal giudice e di cui si trova traccia nella sentenza: difatti, al di là della tradizionale distinzione tra parte motiva e dispositiva della pronuncia, in concreto non è sempre chiaro quali parti della sentenza siano effettivamente suscettibili di passare in giudicato e quali, invece, abbiano la più limitata funzione di chiarire e verificare il ragionamento del giudicante in rapporto alla decisione finale. In argomento, lo studio illustra come l’esame della giurisprudenza e di alcune, seppure isolate, posizioni dottrinali mostrino la tendenza a cercare di ampliare i limiti oggettivi del giudicato attraverso una revisione delle teorie tradizionali che escludono i motivi del decidere dalla vincolatività del giudicato. In punto, la conclusione che è individuata è che proprio la formulazione farraginosa dell’art. 34 c.p.c. ha consentito di aprire la via all’enunciazione di teorie alternative; ciò nonostante, rimane un punto fermo il rilievo che il nostro ordinamento ha orientato la propria scelta in favore di un modello che prevede, come regola base, lo schema della mera cognitio incidenter tantum della questione, salvo far prevalere lo schema dell’actio, ossia dell’accertamento in via principale, solo in presenza di un’apposita domanda di parte o della volontà della legge (quest’ultima nei limiti e nei modi illustrati nell’elaborato).
book - libro
2008
Locatelli, Francesca
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