Nel settembre 2005 circa mille rom che da vent’anni vivevano nel campo di vicolo Savini, a pochi metri dalla Basilica San Paolo a Roma, sono stati trasferiti con grande clamore mediatico in un nuovo insediamento a 25 km dalla città. Il nuovo campo di Castel Romano, con prefabbricati a scacchiera, circondato da un parco naturale e da un muro di separazione, per le amministrazioni Veltroni e Alemanno rappresenta un modello per la “soluzione del problema rom”.Nella prospettiva dell’antropologia critica della contemporaneità la vicenda si rivela esemplare: in prima istanza perché riattualizza termini come “zingaro” e “nomade”, con tutto il loro deposito di stereotipi e pregiudizi, quindi per il fatto di rappresentare emblematicamente i processi e gli esiti, perlopiù negativi, delle politiche di separazione ed espulsione dei rom dagli spazi urbani. Un modello innovativo di analisi etnografica, ridislocata nei due insediamenti e lungo le fasi del trasferimento, mette anche in luce come il confine fra i rom e i diversi “noi” –istituzioni, associazioni e società locale– funzioni come criterio ordinatore dei rapporti sociali, fino a produrre differenze, alleanze e forme inedite di potere.
(2011). Sono del campo e vengo dall'India. Etnografia di una collettività rom ridislocata . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/260822
Sono del campo e vengo dall'India. Etnografia di una collettività rom ridislocata
Daniele, Ulderico
2011-01-01
Abstract
Nel settembre 2005 circa mille rom che da vent’anni vivevano nel campo di vicolo Savini, a pochi metri dalla Basilica San Paolo a Roma, sono stati trasferiti con grande clamore mediatico in un nuovo insediamento a 25 km dalla città. Il nuovo campo di Castel Romano, con prefabbricati a scacchiera, circondato da un parco naturale e da un muro di separazione, per le amministrazioni Veltroni e Alemanno rappresenta un modello per la “soluzione del problema rom”.Nella prospettiva dell’antropologia critica della contemporaneità la vicenda si rivela esemplare: in prima istanza perché riattualizza termini come “zingaro” e “nomade”, con tutto il loro deposito di stereotipi e pregiudizi, quindi per il fatto di rappresentare emblematicamente i processi e gli esiti, perlopiù negativi, delle politiche di separazione ed espulsione dei rom dagli spazi urbani. Un modello innovativo di analisi etnografica, ridislocata nei due insediamenti e lungo le fasi del trasferimento, mette anche in luce come il confine fra i rom e i diversi “noi” –istituzioni, associazioni e società locale– funzioni come criterio ordinatore dei rapporti sociali, fino a produrre differenze, alleanze e forme inedite di potere.File | Dimensione del file | Formato | |
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