Il conflitto del Nagorno-Karabakh offre un’angolatura d’analisi privilegiata per guardare alle dinamiche macro-regionali attraverso il “caleidoscopio” caucasico per due ordini di motivi. In primo luogo, il caso del Nagorno-Karabakh è tutt’altro che isolato. Esso rappresenta uno dei tanti casi di conflitto etno-territoriale che, nello spazio post-sovietico come altrove, si sono generati e protratti nelle zone d’ombra della politica e del diritto internazionale, dove la questione territoriale non è chiaramente delineata e si determina uno iato tra condizione de jure e de facto ovvero tra sovranità interna ed esterna. Visto in quest’ottica, il conflitto armeno-azerbaigiano rappresenta solo un tassello di una più ampia e strisciante “policrisi”, ovverosia di uno scenario caratterizzato da una serie di crisi contenute ma connesse, il cui impatto congiunto sulla stabilità sistemica supera la somma delle singole parti. I principali attori euro-atlantici hanno finito, piuttosto, per guardare al Caucaso meridionale come quadrante nel quale andava riflettendosi e riproducendosi lo scontro in corso in Ucraina. Dalle analisi appare evidente come Bruxelles, Parigi e Washington abbiano cioè inquadrato il conflitto in Nagorno-Karabakh, specie dopo il 2022, come parte del più ampio tentativo russo di destabilizzazione del vicinato orientale europeo. Un tentativo che nel quadrante caucasico è reso più sfidante dalla multiforme convergenza e conflitto di interessi tra la Federazione russa e le altre potenze regionali, Iran e Turchia.
(2024). L’attivismo iraniano nel Caucaso meridionale: tra soft-power e hard-power . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/263007
L’attivismo iraniano nel Caucaso meridionale: tra soft-power e hard-power
Brunelli, Michele
2024-01-01
Abstract
Il conflitto del Nagorno-Karabakh offre un’angolatura d’analisi privilegiata per guardare alle dinamiche macro-regionali attraverso il “caleidoscopio” caucasico per due ordini di motivi. In primo luogo, il caso del Nagorno-Karabakh è tutt’altro che isolato. Esso rappresenta uno dei tanti casi di conflitto etno-territoriale che, nello spazio post-sovietico come altrove, si sono generati e protratti nelle zone d’ombra della politica e del diritto internazionale, dove la questione territoriale non è chiaramente delineata e si determina uno iato tra condizione de jure e de facto ovvero tra sovranità interna ed esterna. Visto in quest’ottica, il conflitto armeno-azerbaigiano rappresenta solo un tassello di una più ampia e strisciante “policrisi”, ovverosia di uno scenario caratterizzato da una serie di crisi contenute ma connesse, il cui impatto congiunto sulla stabilità sistemica supera la somma delle singole parti. I principali attori euro-atlantici hanno finito, piuttosto, per guardare al Caucaso meridionale come quadrante nel quale andava riflettendosi e riproducendosi lo scontro in corso in Ucraina. Dalle analisi appare evidente come Bruxelles, Parigi e Washington abbiano cioè inquadrato il conflitto in Nagorno-Karabakh, specie dopo il 2022, come parte del più ampio tentativo russo di destabilizzazione del vicinato orientale europeo. Un tentativo che nel quadrante caucasico è reso più sfidante dalla multiforme convergenza e conflitto di interessi tra la Federazione russa e le altre potenze regionali, Iran e Turchia.File | Dimensione del file | Formato | |
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I riflessi dell’instabilità internazionale sul Caucaso meridionale - PI0209.pdf
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