Dall’Introduzione: Questo libro tenta di riflettere sugli interrogativi morali, sull’esigenza di giustizia, sulla domanda di senso che la condizione disabile evoca. Il presupposto cui queste pagine sono ancorate è che i disabili sono molto più che una minoranza affetta da uno speciale svantaggio: sono anzitutto persone. Ogni essere umano è una persona e ogni persona è imago Dei. Il fine di questa riflessione è riavvicinare le persone con disabilità a tutte le altre persone, richiamando l’attenzione su ciò che la disabilità ci dice a proposito della condizione umana universale: condizione segnata per chiunque da una dignità inestimabile e da una ineluttabile vulnerabilità. L’itinerario percorso è di tipo teorico: il libro non propone soluzioni operative né risultati di indagini empiriche, ma semplicemente riflessioni, che scaturiscono dall’analisi di alcune teorie ravvivata e supportata dall’ascolto di testimonianze significative. Tra le molte prospettive da cui si potrebbe accostare il tema, quelle adottate qui (etica e giustizia) non sono forse le più immediate. La sfida è appunto avvalersi delle risorse teoriche proprie di questi due tipi di discorso, depurandole il più possibile da ogni artificiosità, gratuità e astrattezza, per tentare di illuminare il significato profondo di una realtà umana ardua e misteriosa ma pur sempre molto concreta: refrattaria alla retorica, alle apologie, ai proclami ideologici. Non si può negare che alla radice della disabilità vi sia (anche) un problema peculiare di giustizia. Se fino a tempi non molto lontani essa era percepita come una sventura individuale, cui si rispondeva con la medicalizzazione e l’istituzionalizzazione in strutture preposte (cioè, di fatto, con l’esclusione), la cultura del Welfare e l’affermarsi del principio di uguaglianza sostanziale hanno progressivamente riplasmato la questione come un problema eminentemente pubblico, ineludibile per le democrazie costituzionali contemporanee. L’integrazione sociale dei disabili e la promozione della loro autonomia sono divenute così, negli ultimi decenni, una priorità nell’agenda dei governi e degli organismi internazionali. Il significato delle soluzioni istituzionali, d’altra parte, e la loro stessa efficacia, si determinano a partire dalla consapevolezza dei principi di fondo che le ispirano. Per questo la riflessione sulla disabilità tende inevitabilmente a sconfinare dall’ambito giuridico a quello politico a quello etico-antropologico: tre livelli di discorso che questo libro tenta di affrontare assumendone l’interdipendenza, pur nelle rispettive specificità. L’intento è appunto quello di richiamare l’attenzione sui disabili in quanto persone, prima che come soggetti colpiti da particolari deficit. Tra gli ambiti esaminati, infatti, vi è una stretta connessione; ma mentre il riconoscimento giuridico-culturale (I) e l’equità sociale (II) rappresentano prospettive comunque parziali sulla disabilità, nella dimensione etico-antropologica (III-V) si può individuare, come si vedrà, il fondamento e insieme l’esito cui gli altri due ambiti rinviano. Il primo aspetto riguarda la duplice forma che la tutela delle persone con disabilità ha assunto nell’epoca contemporanea. La loro inclusione sociale è assicurata oggi in primo luogo tramite strumenti giuridici: il disabile beneficia delle garanzie previste in materia di pari opportunità e divieto di discriminazione, e gli sono riconosciuti specifici diritti (seppure con notevoli gap tra l’affermazione di tali diritti e la loro attuazione effettiva). Accanto alla protezione giuridica si è sviluppato inoltre nel tempo un riconoscimento di tipo culturale a favore della disabilità come identità collettiva: lo attestano i movimenti di rivendicazione sorti nel modo anglosassone dagli anni ’60, e la nascita di uno specifico campo di ricerca accademica, i disability studies. Principio di uguaglianza e rivendicazione della differenza sono le due anime complementari che ispirano rispettivamente la tutela giuridica dei disabili e la loro valorizzazione comunitaria (I). L’attenzione ai disabili non è riducibile, tuttavia, all’affermazione dei loro diritti individuali o collettivi. La disabilità comporta infatti un problema di giustizia più ampio, che riguarda non soltanto la condizione soggettiva delle persone direttamente coinvolte, ma il fondamento stesso del legame sociale che aggrega tutti gli individui e li impegna reciprocamente. Se giustizia è ‘dare a ciascuno il suo’, occorre chiedersi che cosa è dovuto a persone che, a causa di limitazioni fisiche o psichiche, si trovano in situazione di svantaggio e disparità rispetto a tutti gli altri nella cooperazione e competizione sociale. Il problema è affrontato, in prospettive diverse, da varie correnti della filosofia politica contemporanea: saranno esaminate in particolare alcune tesi del liberalismo e le critiche mosse a queste dall’approccio delle capacità e dall’etica della cura (II). L’approccio della giustizia “politica”, peraltro, coglie solo in parte la condizione reale dei soggetti disabili e l’interrogativo morale che ne scaturisce. Nessuna redistribuzione di risorse, infatti, può integralmente ripristinare un’uguaglianza tra le persone che appare infranta dalla natura o dalle circostanze dell’esistenza. In questo senso, gli interventi delle istituzioni sociali e dell’ordinamento giuridico a sostegno alle persone disabili (certamente doverosi e rispondenti a un imperativo di giustizia) non sono da intendere semplicemente come compensazione di uno svantaggio ingiusto o risarcimento di un danno ingiusto. Il loro significato più autentico consiste semmai nell’essere espressione di scelte valoriali di fondo in cui una comunità si riconosce. Scelte che, a loro volta, rispecchiano una previa visione della persona e della condizione umana (III). Occorre dunque guardare al disabile anzitutto come persona per poter assicurare adeguata protezione alla sua concreta situazione di svantaggio. Le limitazioni che segnano i disabili, gli ostacoli gravosi, talora insormontabili, che essi incontrano sulla via dell’autonomia non valgono certo a precludere la loro appartenenza alla famiglia umana, cioè il loro status di persone. Proprio per questo è tanto più importante promuovere politiche antidiscriminatorie in loro favore e tutelare i loro diritti: ma questi vanno pensati in una linea di continuità con ciò che spetta universalmente a qualunque persona, più che come diritti speciali di una minoranza. Se si cerca il fondamento di ciò che è dovuto ai disabili, sul piano giuridico-politico e morale, lo si può trovare nel fatto che essi, prima che membri di una categoria, sono persone, individui, esseri umani (IV). La domanda di giustizia rinvia dunque a una questione antropologica più ampia: è la prospettiva generale da cui si guarda alla condizione umana che determina e qualifica la tutela specifica da garantire all’handicap. Certo il carico di sofferenza derivante dalla disabilità resta incommensurabile e irriproducibile, un peso che grava solo su alcune persone mentre tutte le altre ne sono preservate: non si potrebbe sottovalutare questo dato ovvio. Ma ogni uomo, in quanto tale, è connotato inevitabilmente, in qualche misura, dalla dipendenza e dalla vulnerabilità. L’autonomia, la forza, la razionalità, l’indipendenza, l’efficienza non possono essere assolutizzate fino a farne i tratti distintivi primari dell’umanità: una visione simile non solo sarebbe inadeguata a riconoscere e comprendere pienamente l’umanità delle persone disabili, ma non coglierebbe neppure la specificità della condizione umana in generale (V). Se è vero che, come ha affermato Papa Benedetto XVI, “la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente”, la capacità di uno sguardo autentico sulla condizione disabile è certamente parte essenziale del nostro essere uomini.

(2012). Persone prima che disabili. Una riflessione sull'handicap tra giustizia ed etica . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/267490

Persone prima che disabili. Una riflessione sull'handicap tra giustizia ed etica

Zanichelli, Maria
2012-01-01

Abstract

Dall’Introduzione: Questo libro tenta di riflettere sugli interrogativi morali, sull’esigenza di giustizia, sulla domanda di senso che la condizione disabile evoca. Il presupposto cui queste pagine sono ancorate è che i disabili sono molto più che una minoranza affetta da uno speciale svantaggio: sono anzitutto persone. Ogni essere umano è una persona e ogni persona è imago Dei. Il fine di questa riflessione è riavvicinare le persone con disabilità a tutte le altre persone, richiamando l’attenzione su ciò che la disabilità ci dice a proposito della condizione umana universale: condizione segnata per chiunque da una dignità inestimabile e da una ineluttabile vulnerabilità. L’itinerario percorso è di tipo teorico: il libro non propone soluzioni operative né risultati di indagini empiriche, ma semplicemente riflessioni, che scaturiscono dall’analisi di alcune teorie ravvivata e supportata dall’ascolto di testimonianze significative. Tra le molte prospettive da cui si potrebbe accostare il tema, quelle adottate qui (etica e giustizia) non sono forse le più immediate. La sfida è appunto avvalersi delle risorse teoriche proprie di questi due tipi di discorso, depurandole il più possibile da ogni artificiosità, gratuità e astrattezza, per tentare di illuminare il significato profondo di una realtà umana ardua e misteriosa ma pur sempre molto concreta: refrattaria alla retorica, alle apologie, ai proclami ideologici. Non si può negare che alla radice della disabilità vi sia (anche) un problema peculiare di giustizia. Se fino a tempi non molto lontani essa era percepita come una sventura individuale, cui si rispondeva con la medicalizzazione e l’istituzionalizzazione in strutture preposte (cioè, di fatto, con l’esclusione), la cultura del Welfare e l’affermarsi del principio di uguaglianza sostanziale hanno progressivamente riplasmato la questione come un problema eminentemente pubblico, ineludibile per le democrazie costituzionali contemporanee. L’integrazione sociale dei disabili e la promozione della loro autonomia sono divenute così, negli ultimi decenni, una priorità nell’agenda dei governi e degli organismi internazionali. Il significato delle soluzioni istituzionali, d’altra parte, e la loro stessa efficacia, si determinano a partire dalla consapevolezza dei principi di fondo che le ispirano. Per questo la riflessione sulla disabilità tende inevitabilmente a sconfinare dall’ambito giuridico a quello politico a quello etico-antropologico: tre livelli di discorso che questo libro tenta di affrontare assumendone l’interdipendenza, pur nelle rispettive specificità. L’intento è appunto quello di richiamare l’attenzione sui disabili in quanto persone, prima che come soggetti colpiti da particolari deficit. Tra gli ambiti esaminati, infatti, vi è una stretta connessione; ma mentre il riconoscimento giuridico-culturale (I) e l’equità sociale (II) rappresentano prospettive comunque parziali sulla disabilità, nella dimensione etico-antropologica (III-V) si può individuare, come si vedrà, il fondamento e insieme l’esito cui gli altri due ambiti rinviano. Il primo aspetto riguarda la duplice forma che la tutela delle persone con disabilità ha assunto nell’epoca contemporanea. La loro inclusione sociale è assicurata oggi in primo luogo tramite strumenti giuridici: il disabile beneficia delle garanzie previste in materia di pari opportunità e divieto di discriminazione, e gli sono riconosciuti specifici diritti (seppure con notevoli gap tra l’affermazione di tali diritti e la loro attuazione effettiva). Accanto alla protezione giuridica si è sviluppato inoltre nel tempo un riconoscimento di tipo culturale a favore della disabilità come identità collettiva: lo attestano i movimenti di rivendicazione sorti nel modo anglosassone dagli anni ’60, e la nascita di uno specifico campo di ricerca accademica, i disability studies. Principio di uguaglianza e rivendicazione della differenza sono le due anime complementari che ispirano rispettivamente la tutela giuridica dei disabili e la loro valorizzazione comunitaria (I). L’attenzione ai disabili non è riducibile, tuttavia, all’affermazione dei loro diritti individuali o collettivi. La disabilità comporta infatti un problema di giustizia più ampio, che riguarda non soltanto la condizione soggettiva delle persone direttamente coinvolte, ma il fondamento stesso del legame sociale che aggrega tutti gli individui e li impegna reciprocamente. Se giustizia è ‘dare a ciascuno il suo’, occorre chiedersi che cosa è dovuto a persone che, a causa di limitazioni fisiche o psichiche, si trovano in situazione di svantaggio e disparità rispetto a tutti gli altri nella cooperazione e competizione sociale. Il problema è affrontato, in prospettive diverse, da varie correnti della filosofia politica contemporanea: saranno esaminate in particolare alcune tesi del liberalismo e le critiche mosse a queste dall’approccio delle capacità e dall’etica della cura (II). L’approccio della giustizia “politica”, peraltro, coglie solo in parte la condizione reale dei soggetti disabili e l’interrogativo morale che ne scaturisce. Nessuna redistribuzione di risorse, infatti, può integralmente ripristinare un’uguaglianza tra le persone che appare infranta dalla natura o dalle circostanze dell’esistenza. In questo senso, gli interventi delle istituzioni sociali e dell’ordinamento giuridico a sostegno alle persone disabili (certamente doverosi e rispondenti a un imperativo di giustizia) non sono da intendere semplicemente come compensazione di uno svantaggio ingiusto o risarcimento di un danno ingiusto. Il loro significato più autentico consiste semmai nell’essere espressione di scelte valoriali di fondo in cui una comunità si riconosce. Scelte che, a loro volta, rispecchiano una previa visione della persona e della condizione umana (III). Occorre dunque guardare al disabile anzitutto come persona per poter assicurare adeguata protezione alla sua concreta situazione di svantaggio. Le limitazioni che segnano i disabili, gli ostacoli gravosi, talora insormontabili, che essi incontrano sulla via dell’autonomia non valgono certo a precludere la loro appartenenza alla famiglia umana, cioè il loro status di persone. Proprio per questo è tanto più importante promuovere politiche antidiscriminatorie in loro favore e tutelare i loro diritti: ma questi vanno pensati in una linea di continuità con ciò che spetta universalmente a qualunque persona, più che come diritti speciali di una minoranza. Se si cerca il fondamento di ciò che è dovuto ai disabili, sul piano giuridico-politico e morale, lo si può trovare nel fatto che essi, prima che membri di una categoria, sono persone, individui, esseri umani (IV). La domanda di giustizia rinvia dunque a una questione antropologica più ampia: è la prospettiva generale da cui si guarda alla condizione umana che determina e qualifica la tutela specifica da garantire all’handicap. Certo il carico di sofferenza derivante dalla disabilità resta incommensurabile e irriproducibile, un peso che grava solo su alcune persone mentre tutte le altre ne sono preservate: non si potrebbe sottovalutare questo dato ovvio. Ma ogni uomo, in quanto tale, è connotato inevitabilmente, in qualche misura, dalla dipendenza e dalla vulnerabilità. L’autonomia, la forza, la razionalità, l’indipendenza, l’efficienza non possono essere assolutizzate fino a farne i tratti distintivi primari dell’umanità: una visione simile non solo sarebbe inadeguata a riconoscere e comprendere pienamente l’umanità delle persone disabili, ma non coglierebbe neppure la specificità della condizione umana in generale (V). Se è vero che, come ha affermato Papa Benedetto XVI, “la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente”, la capacità di uno sguardo autentico sulla condizione disabile è certamente parte essenziale del nostro essere uomini.
2012
Zanichelli, Maria
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M. Zanichelli, Persone prima che disabili, Queriniana, 2012.pdf

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