La prima parte del volume tenta di ricostruire il senso giuridico-filosofico dei diritti fondamentali, sia in termini concettuali e definitori (capitolo primo) sia dal punto di vista della loro forza normativa (capitolo secondo). La seconda parte si concentra su due profili più sostanziali, connessi in modo essenziale alla ragion d’essere dei diritti fondamentali: la dignità umana (capitolo terzo) e la cittadinanza (capitolo quarto). Chiariti i limiti di ogni definizione dogmatica e formalistica, il discorso si concentra su un aspetto insieme funzionale e sostanziale dei diritti fondamentali, approfondendo il duplice ruolo - di limiti e di fini dell’azione pubblica - che essi svolgono nelle democrazie costituzionali odierne: un ruolo complesso, che potrebbe essere sintetizzato nella formula “diritti come responsabilità” (capitolo primo). A questo scopo sono state prese in esame anzitutto la rights thesis di R. Dworkin e l’utopia libertarian di R. Nozick che, da prospettive teoriche differenti, hanno posto la questione dei diritti fondamentali in termini “anti-politici”: i diritti sarebbero vincoli “morali” a difesa degli individui, pretese invincibili elevate in contrapposizione agli obiettivi dei governi. Tale visione puramente “difensiva” e individualistica non appare pienamente adeguata a un paradigma come quello proprio dello Stato costituzionale, che ha scelto di assumere i diritti entro le proprie strutture, con funzione fondativa. Un contributo decisivo a questo riguardo, sebbene più indiretto, viene dalle teorie di A. Sen e M.C. Nussbaum, che hanno ripristinato un nesso diretto tra libertà individuale, responsabilità pubbliche e fini collettivi. La complessità dell’azione svolta dai diritti fondamentali implica, d’altra parte, la loro inerenza a molteplici universi concettuali: quello delle norme giuridiche, quello dei principi universali di giustizia, e quello dei valori concreti che diverse etiche e culture assumono come prioritari. I diritti sono situati nell’ordinamento giuridico, ma contemporaneamente anche prima di questo e oltre questo: in un’area di confine fra le sue regole formali e stabili di funzionamento, le sue fonti di validità e i suoi fini sostanziali. Si è tentato dunque di individuare una dialettica tra l’inflessibilità deontologica dei diritti e il loro contenuto assiologico, a partire dalle tesi (tra loro divergenti in parte, per alcuni aspetti significativi) di R. Dworkin, R. Alexy, J. Habermas e M. J. Perry. Inoltre, un esame della teoria della giustizia politica di J. Rawls e del dibattito tra liberals e communitarians sembra confermare questa irriducibile “ubiquità” dei diritti tra il “giusto” e il “bene”, tra l’area delle norme imperative, neutre e capaci di imporsi universalmente, e quella delle preferenze etiche determinate, frutto di opzioni sostanziali da parte di singole comunità. Della normatività dei diritti fondamentali sono state definite in particolare tre modalità: l’indivisibilità come requisito essenziale dei diritti in quanto elementi interdipendenti di un “sistema”, che si regge proprio sul valore normativo dei suoi nessi interni; la loro attitudine a formare oggetto di ponderazioni e bilanciamenti, entro processi decisionali legati alla specificità dei casi; e infine l’universalità (capitolo secondo). Il linguaggio normativo dei diritti fondamentali sostiene ragioni e scopi di cui anche la teoria può scegliere di farsi carico, anziché limitarsi a smascherarne il retroterra “particolaristico”, come accade nelle critiche mosse frequentemente in nome del realismo e del relativismo alla presunta arroganza “eurocentrica” delle carte dei diritti, e all’imperialismo culturale di cui esse sarebbero espressione. Se infatti tutti gli uomini per poter vivere degnamente hanno diritto di vedersi garantiti determinati beni, non dovrebbe essere impossibile sul piano teorico tenere insieme l'universalità dei diritti fondamentali e la diversità delle comunità e delle visioni del mondo (M.A. Glendon, M. Ignatieff). Proprio per questo si è ritenuto importante chiarire il rapporto che lega i diritti fondamentali alla dignità umana e alla cittadinanza. L’indagine sulla dignità muove dall’analisi diretta di alcuni testi normativi che dal secondo Dopoguerra a oggi hanno contribuito alla codificazione dei diritti fondamentali, negli ordinamenti statali e nell’ordine internazionale (capitolo terzo). Da questo esame emerge un rilievo inedito della dignità rispetto ai cataloghi di diritti classici: rilievo che suggerisce di individuare nella promozione della dignità umana la finalità ultima della tutela dei diritti nel mondo contemporaneo. La centralità della dignità è posta in rilievo in questo lavoro allo scopo di ricostruire un paradigma anti-individualistico dei diritti. Proprio attraverso la nozione di dignità, infatti, la dimensione della responsabilità può farsi strada nel linguaggio dei diritti, e correggerne le presunzioni di assolutezza e autofondazione: coniugando i diritti alla dignità, il vocabolario forse inflazionato di cui essi si servono ormai da secoli per affermare le proprie ragioni sembra acquistare una nuova consistenza e insieme una nuova umiltà, e recuperare quella valenza di sfida e di critica con la quale si era imposto alle sue origini. La necessità di liberare il linguaggio dei diritti da una tendenza all’autoreferenzialità, e dal rischio di una deriva individualistica e ipersoggettivistica, è sottolineata costantemente in questo lavoro, che non a caso ha scelto di concludere l’indagine teorica sui diritti fondamentali individuandone il baricentro all’esterno, oltre i diritti stessi, nello spazio della cittadinanza (capitolo quarto). La cittadinanza infatti è, per definizione, il campo in cui i diritti si spogliano di ogni residuo o “tentazione” di individualismo, per entrare nella dimensione della mutua responsabilità e della partecipazione attiva: si può ipotizzare che in questo consista la loro autentica ragion d’essere. A sua volta la cittadinanza è utilizzata qui come nozione problematica, sia sul piano definitorio sia per quanto attiene alle sue connessioni con i diritti. Essa infatti è anzitutto titolo formale, prerequisito giuridico che dà accesso alla fruizione di una serie di diritti fondamentali; ma è anche nello stesso tempo partecipazione politica attiva, e dunque compimento ideale dei diritti, esito ultimo del loro esercizio effettivo. Il senso di questa duplice natura appare chiaramente nella cittadinanza dell’Unione europea, ricostruita qui a partire da un esame delle fonti normative che l’anno disciplinata, dai Trattati istitutivi originari fino al Trattato costituzionale del 2004. Essa rappresenta certamente un unicum per il fatto che non poggia su alcuna precedente omogeneità etnica, culturale o linguistica; ma nello stesso tempo è anche una manifestazione paradigmatica di quale sia il nucleo autentico della cittadinanza una volta che la si depuri di ogni implicazione identitaria in senso nazionalistico o particolaristico. Essere cittadini significa essere titolari di diritti ma anche soggetti di autolegislazione e protagonisti attivi della vita democratica di una comunità: in questo senso la cittadinanza può indicare una condizione di partecipazione piena, e diventare uno strumento di inclusione anziché un fattore di discriminazione. L’ipotesi assunta qui che nei sistemi giuridici contemporanei il nucleo di significato dei diritti fondamentali possa essere individuato soprattutto nella dignità delle persone e, attraverso la cittadinanza, nella responsabilità di individui e istituzioni pubbliche, non può che condurre quasi naturalmente il discorso sui diritti oltre i diritti stessi. Con questo, senza trascurare la differenza tra cittadinanza e diritti e senza ridurre la cittadinanza a un set di diritti, si è voluto indicare la cittadinanza attiva come la più profonda e concreta realizzazione di quel complesso di opportunità che i diritti fondamentali garantiscono agli individui, e che contribuiscono in misura decisiva a rendere veramente umana, degna, e consapevole la loro vita personale e comunitaria.

(2004). Il discorso sui diritti. Un atlante teorico . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/269181

Il discorso sui diritti. Un atlante teorico

Zanichelli, Maria
2004-01-01

Abstract

La prima parte del volume tenta di ricostruire il senso giuridico-filosofico dei diritti fondamentali, sia in termini concettuali e definitori (capitolo primo) sia dal punto di vista della loro forza normativa (capitolo secondo). La seconda parte si concentra su due profili più sostanziali, connessi in modo essenziale alla ragion d’essere dei diritti fondamentali: la dignità umana (capitolo terzo) e la cittadinanza (capitolo quarto). Chiariti i limiti di ogni definizione dogmatica e formalistica, il discorso si concentra su un aspetto insieme funzionale e sostanziale dei diritti fondamentali, approfondendo il duplice ruolo - di limiti e di fini dell’azione pubblica - che essi svolgono nelle democrazie costituzionali odierne: un ruolo complesso, che potrebbe essere sintetizzato nella formula “diritti come responsabilità” (capitolo primo). A questo scopo sono state prese in esame anzitutto la rights thesis di R. Dworkin e l’utopia libertarian di R. Nozick che, da prospettive teoriche differenti, hanno posto la questione dei diritti fondamentali in termini “anti-politici”: i diritti sarebbero vincoli “morali” a difesa degli individui, pretese invincibili elevate in contrapposizione agli obiettivi dei governi. Tale visione puramente “difensiva” e individualistica non appare pienamente adeguata a un paradigma come quello proprio dello Stato costituzionale, che ha scelto di assumere i diritti entro le proprie strutture, con funzione fondativa. Un contributo decisivo a questo riguardo, sebbene più indiretto, viene dalle teorie di A. Sen e M.C. Nussbaum, che hanno ripristinato un nesso diretto tra libertà individuale, responsabilità pubbliche e fini collettivi. La complessità dell’azione svolta dai diritti fondamentali implica, d’altra parte, la loro inerenza a molteplici universi concettuali: quello delle norme giuridiche, quello dei principi universali di giustizia, e quello dei valori concreti che diverse etiche e culture assumono come prioritari. I diritti sono situati nell’ordinamento giuridico, ma contemporaneamente anche prima di questo e oltre questo: in un’area di confine fra le sue regole formali e stabili di funzionamento, le sue fonti di validità e i suoi fini sostanziali. Si è tentato dunque di individuare una dialettica tra l’inflessibilità deontologica dei diritti e il loro contenuto assiologico, a partire dalle tesi (tra loro divergenti in parte, per alcuni aspetti significativi) di R. Dworkin, R. Alexy, J. Habermas e M. J. Perry. Inoltre, un esame della teoria della giustizia politica di J. Rawls e del dibattito tra liberals e communitarians sembra confermare questa irriducibile “ubiquità” dei diritti tra il “giusto” e il “bene”, tra l’area delle norme imperative, neutre e capaci di imporsi universalmente, e quella delle preferenze etiche determinate, frutto di opzioni sostanziali da parte di singole comunità. Della normatività dei diritti fondamentali sono state definite in particolare tre modalità: l’indivisibilità come requisito essenziale dei diritti in quanto elementi interdipendenti di un “sistema”, che si regge proprio sul valore normativo dei suoi nessi interni; la loro attitudine a formare oggetto di ponderazioni e bilanciamenti, entro processi decisionali legati alla specificità dei casi; e infine l’universalità (capitolo secondo). Il linguaggio normativo dei diritti fondamentali sostiene ragioni e scopi di cui anche la teoria può scegliere di farsi carico, anziché limitarsi a smascherarne il retroterra “particolaristico”, come accade nelle critiche mosse frequentemente in nome del realismo e del relativismo alla presunta arroganza “eurocentrica” delle carte dei diritti, e all’imperialismo culturale di cui esse sarebbero espressione. Se infatti tutti gli uomini per poter vivere degnamente hanno diritto di vedersi garantiti determinati beni, non dovrebbe essere impossibile sul piano teorico tenere insieme l'universalità dei diritti fondamentali e la diversità delle comunità e delle visioni del mondo (M.A. Glendon, M. Ignatieff). Proprio per questo si è ritenuto importante chiarire il rapporto che lega i diritti fondamentali alla dignità umana e alla cittadinanza. L’indagine sulla dignità muove dall’analisi diretta di alcuni testi normativi che dal secondo Dopoguerra a oggi hanno contribuito alla codificazione dei diritti fondamentali, negli ordinamenti statali e nell’ordine internazionale (capitolo terzo). Da questo esame emerge un rilievo inedito della dignità rispetto ai cataloghi di diritti classici: rilievo che suggerisce di individuare nella promozione della dignità umana la finalità ultima della tutela dei diritti nel mondo contemporaneo. La centralità della dignità è posta in rilievo in questo lavoro allo scopo di ricostruire un paradigma anti-individualistico dei diritti. Proprio attraverso la nozione di dignità, infatti, la dimensione della responsabilità può farsi strada nel linguaggio dei diritti, e correggerne le presunzioni di assolutezza e autofondazione: coniugando i diritti alla dignità, il vocabolario forse inflazionato di cui essi si servono ormai da secoli per affermare le proprie ragioni sembra acquistare una nuova consistenza e insieme una nuova umiltà, e recuperare quella valenza di sfida e di critica con la quale si era imposto alle sue origini. La necessità di liberare il linguaggio dei diritti da una tendenza all’autoreferenzialità, e dal rischio di una deriva individualistica e ipersoggettivistica, è sottolineata costantemente in questo lavoro, che non a caso ha scelto di concludere l’indagine teorica sui diritti fondamentali individuandone il baricentro all’esterno, oltre i diritti stessi, nello spazio della cittadinanza (capitolo quarto). La cittadinanza infatti è, per definizione, il campo in cui i diritti si spogliano di ogni residuo o “tentazione” di individualismo, per entrare nella dimensione della mutua responsabilità e della partecipazione attiva: si può ipotizzare che in questo consista la loro autentica ragion d’essere. A sua volta la cittadinanza è utilizzata qui come nozione problematica, sia sul piano definitorio sia per quanto attiene alle sue connessioni con i diritti. Essa infatti è anzitutto titolo formale, prerequisito giuridico che dà accesso alla fruizione di una serie di diritti fondamentali; ma è anche nello stesso tempo partecipazione politica attiva, e dunque compimento ideale dei diritti, esito ultimo del loro esercizio effettivo. Il senso di questa duplice natura appare chiaramente nella cittadinanza dell’Unione europea, ricostruita qui a partire da un esame delle fonti normative che l’anno disciplinata, dai Trattati istitutivi originari fino al Trattato costituzionale del 2004. Essa rappresenta certamente un unicum per il fatto che non poggia su alcuna precedente omogeneità etnica, culturale o linguistica; ma nello stesso tempo è anche una manifestazione paradigmatica di quale sia il nucleo autentico della cittadinanza una volta che la si depuri di ogni implicazione identitaria in senso nazionalistico o particolaristico. Essere cittadini significa essere titolari di diritti ma anche soggetti di autolegislazione e protagonisti attivi della vita democratica di una comunità: in questo senso la cittadinanza può indicare una condizione di partecipazione piena, e diventare uno strumento di inclusione anziché un fattore di discriminazione. L’ipotesi assunta qui che nei sistemi giuridici contemporanei il nucleo di significato dei diritti fondamentali possa essere individuato soprattutto nella dignità delle persone e, attraverso la cittadinanza, nella responsabilità di individui e istituzioni pubbliche, non può che condurre quasi naturalmente il discorso sui diritti oltre i diritti stessi. Con questo, senza trascurare la differenza tra cittadinanza e diritti e senza ridurre la cittadinanza a un set di diritti, si è voluto indicare la cittadinanza attiva come la più profonda e concreta realizzazione di quel complesso di opportunità che i diritti fondamentali garantiscono agli individui, e che contribuiscono in misura decisiva a rendere veramente umana, degna, e consapevole la loro vita personale e comunitaria.
2004
Zanichelli, Maria
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