Si racconta qui la storia di un’idea tedesca nel Novecento: l’idea di forma – una forma non già sotto il giogo della staticità caratteristica della sua versione classica e latina, bensì una forma in perenne vicissitudine. Il libro nasce con un intento polemico contro un pregiudizio consolidato nella cultura del Novecento, e ancora in auge nel dibattito contemporaneo. A che pro, si diceva già nello scorso secolo, rimpiangere totalità ideali, quando sia l’io sia il suo pensiero hanno perduto contorni definiti, e la vita, come scriveva Theodor W. Adorno in una lettera a Thomas Mann, si è rivelata «aperta e frammentaria»? Eppure mai come nel Novecento la forma ha dimostrato il proprio potere di resistenza critica. Così, nei versi di Benn, essa diventa il medium di una polemica contro il destino dell’arte nel tempo della tecnica nonché contro la cultura del divenire storico e la sua bancarotta nella Germania nazista. Per ricostruire una simile contesa, combattuta con l’arma della forma, le riflessioni qui raccolte si confrontano con scritti e opere di altri protagonisti di quell’epoca, da Paul Hindemith a Oskar Schlemmer, che con Benn, o diversamente da Benn, pensarono il gesto artistico come gesto della forma. «Qui sono uno dell’altro ieri, o forse un rinnegato, perché dipingo come un “classicista”», confessava Schlemmer all’amico pittore Otto Meyer-Amden in una lettera inviata dal Bauhaus nel dicembre 1925. Anche Benn e Hindemith si sentirono rimproverare di esser rimasti, con la loro fede nella forma, all’altro ieri. Ora che il Novecento si è concluso, è forse giunto il momento di mettere in discussione quel pregiudizio.

Il sogno della forma. Un'idea tedesca nel Novecento di Gottfried Benn

VALTOLINA, Amelia Giuseppina
2016-01-01

Abstract

Si racconta qui la storia di un’idea tedesca nel Novecento: l’idea di forma – una forma non già sotto il giogo della staticità caratteristica della sua versione classica e latina, bensì una forma in perenne vicissitudine. Il libro nasce con un intento polemico contro un pregiudizio consolidato nella cultura del Novecento, e ancora in auge nel dibattito contemporaneo. A che pro, si diceva già nello scorso secolo, rimpiangere totalità ideali, quando sia l’io sia il suo pensiero hanno perduto contorni definiti, e la vita, come scriveva Theodor W. Adorno in una lettera a Thomas Mann, si è rivelata «aperta e frammentaria»? Eppure mai come nel Novecento la forma ha dimostrato il proprio potere di resistenza critica. Così, nei versi di Benn, essa diventa il medium di una polemica contro il destino dell’arte nel tempo della tecnica nonché contro la cultura del divenire storico e la sua bancarotta nella Germania nazista. Per ricostruire una simile contesa, combattuta con l’arma della forma, le riflessioni qui raccolte si confrontano con scritti e opere di altri protagonisti di quell’epoca, da Paul Hindemith a Oskar Schlemmer, che con Benn, o diversamente da Benn, pensarono il gesto artistico come gesto della forma. «Qui sono uno dell’altro ieri, o forse un rinnegato, perché dipingo come un “classicista”», confessava Schlemmer all’amico pittore Otto Meyer-Amden in una lettera inviata dal Bauhaus nel dicembre 1925. Anche Benn e Hindemith si sentirono rimproverare di esser rimasti, con la loro fede nella forma, all’altro ieri. Ora che il Novecento si è concluso, è forse giunto il momento di mettere in discussione quel pregiudizio.
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2016
Valtolina, Amelia Giuseppina
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