L’esperienza della cura assume non di rado i tratti della esposizione alla debolezza irreparabile, ad una fragilità insopprimibile e non celabile. In fondo è una esposizione alla verità più propria della condizione umana, ma diventa difficile sostenerla quando si manifesta in condizioni nelle quali pare quasi impossibile intravvedere varchi verso il futuro, coltivare il senso del possibile, vivere ancora il desiderio. Quando chiede l’esposizione di un corpo, di una mente, di una storia prostrata a gesti ed a presenze chiamate a sostenere, accogliere, contenere. Ma esposizione alla fragilità propria è anche quella vissuta da chi porta presenze e gesti tecnicamente raffinati, ma poco più che impotenti, davanti a corpi la cui figura si dissolve e nei quali la vita esita e sfinisce. Tale esposizione è di tanti operatori della cura, di operatori sociali dell’area della marginalità, di tanti educatori. Ma, al fine, è di ogni donna e di ogni uomo, di ogni trama familiare e di prossimità. Il nostro tempo ha diffuso di nuovo questa esperienza, nei luoghi quotidiani dove la vita fiorisce e a volte geme, e nei luoghi dove concentriamo il potere delle tecnoscienze a disposizione della medicina. E il nostro si fa, così, tempo di disvelamento della vulnerabilità propria delle figlie e dei figli d’uomo.
(2017). La cura: chinarsi sulla vita . Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/116136
La cura: chinarsi sulla vita
Lizzola, ivo
2017-01-01
Abstract
L’esperienza della cura assume non di rado i tratti della esposizione alla debolezza irreparabile, ad una fragilità insopprimibile e non celabile. In fondo è una esposizione alla verità più propria della condizione umana, ma diventa difficile sostenerla quando si manifesta in condizioni nelle quali pare quasi impossibile intravvedere varchi verso il futuro, coltivare il senso del possibile, vivere ancora il desiderio. Quando chiede l’esposizione di un corpo, di una mente, di una storia prostrata a gesti ed a presenze chiamate a sostenere, accogliere, contenere. Ma esposizione alla fragilità propria è anche quella vissuta da chi porta presenze e gesti tecnicamente raffinati, ma poco più che impotenti, davanti a corpi la cui figura si dissolve e nei quali la vita esita e sfinisce. Tale esposizione è di tanti operatori della cura, di operatori sociali dell’area della marginalità, di tanti educatori. Ma, al fine, è di ogni donna e di ogni uomo, di ogni trama familiare e di prossimità. Il nostro tempo ha diffuso di nuovo questa esperienza, nei luoghi quotidiani dove la vita fiorisce e a volte geme, e nei luoghi dove concentriamo il potere delle tecnoscienze a disposizione della medicina. E il nostro si fa, così, tempo di disvelamento della vulnerabilità propria delle figlie e dei figli d’uomo.File | Dimensione del file | Formato | |
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