Le professioni giuridiche sono da sempre quelle più legate all’ordinamento nazionale e i laureati in giurisprudenza, di solito, i meno idonei a dare un saggio della propria elevata professionalità in impieghi all’estero, ove si debba applicare un diritto estraneo a quello dell’ordinamento nazionale ove ha sede l’Università nella quale si sono formati. L’esistenza dell’Unione europea ha mutato questa condizione dei laureati in giurisprudenza in maniera più significativa rispetto a quella dei laureati in altre materie (medicina, ingegneria, economia, matematica…)? In un raffronto comparativo, senz’altro no. In quasi tutte le altre discipline i laureati conseguono maggiore mobilità, rispetto ai giuristi. Tuttavia l’Unione europea ha senz’altro mutato il rapporto dei giuristi con le lingue straniere. Tutti i giuristi, se vogliono interagire con i colleghi stranieri, devono parlare, leggere e scrivere nella lingua veicolare inglese (che da diversi decenni sta ormai scalzando il francese). I poliglotti, anche in altre lingue dell’Unione con un rilievo internazionale di cultura, quali appunto il francese, ma anche il tedesco, lo spagnolo, il portoghese o l’italiano. E’ però evidente che in lingua inglese si trovano, quanto alla dottrina, soprattutto opere riassuntive o riferite a un ordinamento che, dopo l’esecuzione della Brexit, cesserà di essere parte dell’Unione. La giurisprudenza è scritta nelle lingue nazionali del processo, la legislazione nazionale di solito non è pluirilingue e i giuristi scrivono le loro opere principali nella loro lingua madre nazionale. Dato che nell’Unione europea non esiste una prassi giuridica comune e che l’unificazione interpretativa attuata mediante la giurisprudenza della Corte di Giustizia è del tutto occasionale, ecco che il vero campo di confronto privilegiato è diventato lo studio delle diverse soluzioni nazionali nell’attuazione del diritto unionale, tanto più che è sempre più frequente la necessità di inserire nel sistema del proprio diritto nazionale nuovi istituti giuridici o nuove regole che dal diritto unionale sorgono e dipendono, tramite la recezione di direttive. Il giurista positivo che opera oggi all’interno dell’Unione europea trova perciò nella comparazione giuridica uno strumento importante per individuare soluzioni alternative nell’interpretazione del diritto positivo nazionale “derivato”. Ma è anche vero che è ben possibile che lo scontro politico-interpretativo si definisca nell’individuazione della frontiera tra ciò che resta di competenza del diritto nazionale e ciò che è di competenza del diritto unionale: il giurista può sempre essere tentato di individuare una soluzione concreta come derivata dal sistema del proprio diritto nazionale, anziché come applicazione del diritto dell’Unione. Con il risultato di cercare di sottrarre all’interpretazione della Corte di Giustizia la propria regola, per lasciarla alla Corte suprema nazionale. Di qui un problema aggravato dalla Babele linguistica europea: i tedeschi interpretano il rapporto tra il diritto europeo e il loro diritto nazionale senza confrontarsi con gli italiani, perché ognuno espone le soluzioni interpretative di dettaglio, da principio, esclusivamente nella propria lingua. E sono pochi i giuristi che si danno il tempo di imparare e leggere le opere scritte in lingue straniere diverse da quella veicolare. Così accade che le soluzioni interpretative nazionali restino, a volte, largamente sconosciute, e per anni si possa procedere in parallelo, con un diritto declamato “armonizzato” e un diritto applicato “divergente”.

(2017). Usus modernus der Rechtsvergleichung in der Europäischen Union: Plurilingualität [journal article - articolo]. In ZEITSCHRIFT FÜR GEMEINSCHAFTSPRIVATRECHT. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/118230

Usus modernus der Rechtsvergleichung in der Europäischen Union: Plurilingualität

De Stasio, Vincenzo
2017-01-01

Abstract

Le professioni giuridiche sono da sempre quelle più legate all’ordinamento nazionale e i laureati in giurisprudenza, di solito, i meno idonei a dare un saggio della propria elevata professionalità in impieghi all’estero, ove si debba applicare un diritto estraneo a quello dell’ordinamento nazionale ove ha sede l’Università nella quale si sono formati. L’esistenza dell’Unione europea ha mutato questa condizione dei laureati in giurisprudenza in maniera più significativa rispetto a quella dei laureati in altre materie (medicina, ingegneria, economia, matematica…)? In un raffronto comparativo, senz’altro no. In quasi tutte le altre discipline i laureati conseguono maggiore mobilità, rispetto ai giuristi. Tuttavia l’Unione europea ha senz’altro mutato il rapporto dei giuristi con le lingue straniere. Tutti i giuristi, se vogliono interagire con i colleghi stranieri, devono parlare, leggere e scrivere nella lingua veicolare inglese (che da diversi decenni sta ormai scalzando il francese). I poliglotti, anche in altre lingue dell’Unione con un rilievo internazionale di cultura, quali appunto il francese, ma anche il tedesco, lo spagnolo, il portoghese o l’italiano. E’ però evidente che in lingua inglese si trovano, quanto alla dottrina, soprattutto opere riassuntive o riferite a un ordinamento che, dopo l’esecuzione della Brexit, cesserà di essere parte dell’Unione. La giurisprudenza è scritta nelle lingue nazionali del processo, la legislazione nazionale di solito non è pluirilingue e i giuristi scrivono le loro opere principali nella loro lingua madre nazionale. Dato che nell’Unione europea non esiste una prassi giuridica comune e che l’unificazione interpretativa attuata mediante la giurisprudenza della Corte di Giustizia è del tutto occasionale, ecco che il vero campo di confronto privilegiato è diventato lo studio delle diverse soluzioni nazionali nell’attuazione del diritto unionale, tanto più che è sempre più frequente la necessità di inserire nel sistema del proprio diritto nazionale nuovi istituti giuridici o nuove regole che dal diritto unionale sorgono e dipendono, tramite la recezione di direttive. Il giurista positivo che opera oggi all’interno dell’Unione europea trova perciò nella comparazione giuridica uno strumento importante per individuare soluzioni alternative nell’interpretazione del diritto positivo nazionale “derivato”. Ma è anche vero che è ben possibile che lo scontro politico-interpretativo si definisca nell’individuazione della frontiera tra ciò che resta di competenza del diritto nazionale e ciò che è di competenza del diritto unionale: il giurista può sempre essere tentato di individuare una soluzione concreta come derivata dal sistema del proprio diritto nazionale, anziché come applicazione del diritto dell’Unione. Con il risultato di cercare di sottrarre all’interpretazione della Corte di Giustizia la propria regola, per lasciarla alla Corte suprema nazionale. Di qui un problema aggravato dalla Babele linguistica europea: i tedeschi interpretano il rapporto tra il diritto europeo e il loro diritto nazionale senza confrontarsi con gli italiani, perché ognuno espone le soluzioni interpretative di dettaglio, da principio, esclusivamente nella propria lingua. E sono pochi i giuristi che si danno il tempo di imparare e leggere le opere scritte in lingue straniere diverse da quella veicolare. Così accade che le soluzioni interpretative nazionali restino, a volte, largamente sconosciute, e per anni si possa procedere in parallelo, con un diritto declamato “armonizzato” e un diritto applicato “divergente”.
journal article - articolo
2017
DE STASIO, Vincenzo
(2017). Usus modernus der Rechtsvergleichung in der Europäischen Union: Plurilingualität [journal article - articolo]. In ZEITSCHRIFT FÜR GEMEINSCHAFTSPRIVATRECHT. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/118230
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