Parte integrante della donazione è un legame profondo in cui si è totalmente presi, posseduti. La relazione di dono è un essere afferrati dal legame sociale. Il che però, s’intende, non significa partecipare a un rapporto armonioso e pacifico. Anche i duellanti, i rivali, i nemici di una guerra sono totalmente presi dalla dinamica e dai processi iscritti nell’ordine della loro relazione. Quindi stare nel legame non implica necessariamente costruzione di una società pacifica. Anzi, più il legame è stretto, più esso richiede l’esposizione rituale della propria reciprocità, cioè dell’elisione del terzo, che come abbiamo visto nasconde sempre un risvolto violento. Ciò che occorre indagare in ultima analisi non è più quindi la natura del dono in quanto tale, ma la sua peculiarità contro-paradossale, ossia la possibilità che esso non abbia funzione sacrificale. Certo il dono della legge da parte di una divinità o il dono della vita da parte dei genitori possono fungere da paradigmi antisacrificali, tuttavia in una prospettiva scientifica essi non sono sufficienti; essi infatti funzionano “troppo bene” come paradigmi per essere realmente vincolanti nelle relazioni quotidiane. In effetti nella narrazione biblica e nelle cronache sono numerosissimi gli episodi in cui si evince il prezzo cruento dell’amore disinteressato. Idolatria, tradimenti, infanticidi, uxoricidi ecc. segnano l’inevitabile contaminazione del dono con il suo contrario, la parentela indissolubile tra reciprocità positiva e desiderio di possesso, che a sua volta rivela il bisogno di sopravvivenza esclusiva all’altro. Il tranello, se così si può dire, in cui cade il ragionamento che indaga il dono, è rappresentato dal bisogno quasi inavvertito di scoprire una dimensione sempre più originaria, più pura, più incontaminata del gesto oblativo, come se l’autenticità di una pratica fosse di per sé qualcosa di migliore della “menzogna sociale”, e come se tale autenticità fosse in ogni caso qualcosa di preferibile in quanto tale. Nella vita sociale tuttavia non si dà il dono puro, ma soltanto il tentativo ogni volta spurio, ogni volta incompleto di riconoscere ed essere riconosciuti.
(2018). Il dono come controparadosso. Scambio, gioco, reciprocità [journal article - articolo]. In SOCIOLOGIA. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/127246
Il dono come controparadosso. Scambio, gioco, reciprocità
Doni, Martino;Tomelleri, Stefano
2018-01-01
Abstract
Parte integrante della donazione è un legame profondo in cui si è totalmente presi, posseduti. La relazione di dono è un essere afferrati dal legame sociale. Il che però, s’intende, non significa partecipare a un rapporto armonioso e pacifico. Anche i duellanti, i rivali, i nemici di una guerra sono totalmente presi dalla dinamica e dai processi iscritti nell’ordine della loro relazione. Quindi stare nel legame non implica necessariamente costruzione di una società pacifica. Anzi, più il legame è stretto, più esso richiede l’esposizione rituale della propria reciprocità, cioè dell’elisione del terzo, che come abbiamo visto nasconde sempre un risvolto violento. Ciò che occorre indagare in ultima analisi non è più quindi la natura del dono in quanto tale, ma la sua peculiarità contro-paradossale, ossia la possibilità che esso non abbia funzione sacrificale. Certo il dono della legge da parte di una divinità o il dono della vita da parte dei genitori possono fungere da paradigmi antisacrificali, tuttavia in una prospettiva scientifica essi non sono sufficienti; essi infatti funzionano “troppo bene” come paradigmi per essere realmente vincolanti nelle relazioni quotidiane. In effetti nella narrazione biblica e nelle cronache sono numerosissimi gli episodi in cui si evince il prezzo cruento dell’amore disinteressato. Idolatria, tradimenti, infanticidi, uxoricidi ecc. segnano l’inevitabile contaminazione del dono con il suo contrario, la parentela indissolubile tra reciprocità positiva e desiderio di possesso, che a sua volta rivela il bisogno di sopravvivenza esclusiva all’altro. Il tranello, se così si può dire, in cui cade il ragionamento che indaga il dono, è rappresentato dal bisogno quasi inavvertito di scoprire una dimensione sempre più originaria, più pura, più incontaminata del gesto oblativo, come se l’autenticità di una pratica fosse di per sé qualcosa di migliore della “menzogna sociale”, e come se tale autenticità fosse in ogni caso qualcosa di preferibile in quanto tale. Nella vita sociale tuttavia non si dà il dono puro, ma soltanto il tentativo ogni volta spurio, ogni volta incompleto di riconoscere ed essere riconosciuti.File | Dimensione del file | Formato | |
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