Per affrontare i problemi che impattano negativamente sulla crescita economica italiana, dobbiamo recuperare una serie di strumenti interpretativi, caduti nel dimenticatoio, ma necessari per rimettere al centro il tema delle “riforme di struttura”. Ci riferiamo alla legge di Engel, alle tecniche superiori di produzione, e alla relazione fra progresso tecnico e oligopolio. La prospettiva dominante attribuisce la mancata crescita italiana ai vizi della politica nazionale, all’eccesso di burocrazia, all’eccesiva spesa pubblica, all’ammontare ingente del debito pubblico e alle rigidità del mercato del lavoro. Questo punto di vista è criticato da molti economisti che sottolineano come e quanto le politiche d’austerità abbiano intaccato la domanda e quindi il potenziale di crescita del Paese. Le politiche europee sono i principali imputati, così come l’eccezione mercantilista tedesca nel panorama mondiale ed europeo: i continui avanzi correnti registrati dalla Germania, unitamente al deflusso dei capitali dal centro alla periferia, sono indicati come destabilizzanti per lo sviluppo europeo. In questo contesto le politiche deflative determinate dalle riforme Hartz, promosse dal secondo governo di Gerhard Schröder ed entrate in vigore gradualmente tra il 2003 e il 2005, avrebbero risollevato la competitività tedesca, scaricando sui Paesi della periferia l’onere del rilancio economico del centro. Si tratta di critiche condivisibili e ben argomentate che, tuttavia, rischiano di mettere in secondo piano alcuni aspetti critici dell’evoluzione strutturale italiana: come è stato messo già in luce , l’Italia attraversa una crisi di struttura in cui i ritardi accumulati nella produzione di innovazione hanno determinato un vincolo estero di natura tecnologica molto stringente. I problemi del modello di crescita italiano precedono la lunga recessione dell’ultimo decennio: la crescita del PIL è mediamente inferiore alla media europea da ben prima della crisi del 2007, nonostante nel periodo 1991-2007 la quota degli investimenti sul PIL sia sostanzialmente crescente (dal 4% del 1991 al 7% del 2007). Riproporremo l’inattendibilità della tesi relativa ai mancati investimenti delle imprese nazionali per giustificare la mancata crescita dell’Italia. Proporremo una generalizzazione a livello macroeconomico della legge di Engel a partire da due evidenze empiriche: 1. l’aumento della ricerca e sviluppo su base nazionale tende a ridurre il volume degli investimenti; 2. gli oligopoli che vengono a formarsi sono caratterizzati da barriere all’entrata dipendenti dalla specializzazione produttiva nazionale ma anche da specifici fattori istituzionali che condizionano la dinamica strutturale. Infine, tratteremo l’evoluzione della specializzazione produttiva nel contesto dell’Unione Europea, illustrando le asimmetrie economiche dei Paesi membri.
(2018). Dinamica di struttura e innovazione . Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/128806
Dinamica di struttura e innovazione
Lucarelli, Stefano;
2018-01-01
Abstract
Per affrontare i problemi che impattano negativamente sulla crescita economica italiana, dobbiamo recuperare una serie di strumenti interpretativi, caduti nel dimenticatoio, ma necessari per rimettere al centro il tema delle “riforme di struttura”. Ci riferiamo alla legge di Engel, alle tecniche superiori di produzione, e alla relazione fra progresso tecnico e oligopolio. La prospettiva dominante attribuisce la mancata crescita italiana ai vizi della politica nazionale, all’eccesso di burocrazia, all’eccesiva spesa pubblica, all’ammontare ingente del debito pubblico e alle rigidità del mercato del lavoro. Questo punto di vista è criticato da molti economisti che sottolineano come e quanto le politiche d’austerità abbiano intaccato la domanda e quindi il potenziale di crescita del Paese. Le politiche europee sono i principali imputati, così come l’eccezione mercantilista tedesca nel panorama mondiale ed europeo: i continui avanzi correnti registrati dalla Germania, unitamente al deflusso dei capitali dal centro alla periferia, sono indicati come destabilizzanti per lo sviluppo europeo. In questo contesto le politiche deflative determinate dalle riforme Hartz, promosse dal secondo governo di Gerhard Schröder ed entrate in vigore gradualmente tra il 2003 e il 2005, avrebbero risollevato la competitività tedesca, scaricando sui Paesi della periferia l’onere del rilancio economico del centro. Si tratta di critiche condivisibili e ben argomentate che, tuttavia, rischiano di mettere in secondo piano alcuni aspetti critici dell’evoluzione strutturale italiana: come è stato messo già in luce , l’Italia attraversa una crisi di struttura in cui i ritardi accumulati nella produzione di innovazione hanno determinato un vincolo estero di natura tecnologica molto stringente. I problemi del modello di crescita italiano precedono la lunga recessione dell’ultimo decennio: la crescita del PIL è mediamente inferiore alla media europea da ben prima della crisi del 2007, nonostante nel periodo 1991-2007 la quota degli investimenti sul PIL sia sostanzialmente crescente (dal 4% del 1991 al 7% del 2007). Riproporremo l’inattendibilità della tesi relativa ai mancati investimenti delle imprese nazionali per giustificare la mancata crescita dell’Italia. Proporremo una generalizzazione a livello macroeconomico della legge di Engel a partire da due evidenze empiriche: 1. l’aumento della ricerca e sviluppo su base nazionale tende a ridurre il volume degli investimenti; 2. gli oligopoli che vengono a formarsi sono caratterizzati da barriere all’entrata dipendenti dalla specializzazione produttiva nazionale ma anche da specifici fattori istituzionali che condizionano la dinamica strutturale. Infine, tratteremo l’evoluzione della specializzazione produttiva nel contesto dell’Unione Europea, illustrando le asimmetrie economiche dei Paesi membri.File | Dimensione del file | Formato | |
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