Il capitolo tratta delle definizioni e misurazioni delle competenze. Attraverso un’analisi fattoriale si perviene a costruire degli indici delle competenze agite da un campione (stratificato) di lavoratori dipendenti italiani. L’analisi consente di cogliere i seguenti aspetti: (i)la componente femminile della forza lavoro occupata alle dipendenze presenta un livello di competenze inferiore rispetto agli uomini; (ii) l’età centrale è associata a livelli di competenza più elevati rispetto alle classi periferiche della distribuzione; (iii) con riferimento ai titolo di studio si rileva una forte correlazione soprattutto in quelle competenze legate a discipline scolastiche o accademiche (scrittura, lettura calcolo); (iv) per tipologia dei rapporti di lavoro, i livelli di competenza risultano più elevati nei soggetti con contratti più stabili, che lasciano presupporre una maggior permanenza negli stessi luoghi di lavoro; (v) nell’ambito della distribuzione dei lavoratori per dimensione dell’unità locale, non emergono significative differenze nelle competenze, contrariamente alle comuni attese; (vi) fra i settori produttivi, invece, emergono delle situazioni di eccellenza nei comparti dell’intermediazione finanziaria, e in alcune competenze (come ad esempio, il lavoro di gruppo) nel manifatturiero science based. Nell’ambito più ristretto delle competenze ‘chiave’ (problem solving, comunicazione/relazione con clienti e collaboratori, e lavoro di gruppo), i livelli risultano crescere: (a) all’aumentare dell’anzianità aziendale; (b) al crescere del tempo ritenuto necessario per apprendere a svolgere bene l’attività eseguita; (c) all’allungarsi del tempo speso in formazione post-scolastica. La novità in assoluto per il panorama conoscitivo italiano risiede però nella forte correlazione (peraltro già rilevata e investigata nella letteratura specialistica straniera) tra livello delle competenze praticate dai lavoratori e alcune caratteristiche dei luoghi di lavoro, che contribuiscono a definire a livello internazionale le High Performance Work Organizations. Queste caratteristiche sono costituite da: (1) circoli di qualità; (2) diffusione delle informazioni di cui gode il soggetto, e consultazione intensa del lavoratore che avviene negli incontri periodi con il management di riferimento; (3) proposte di miglioramento ‘dal basso’; (4) lavoro in gruppo, all’interno di team dotati di autonomia e ‘potere’; (5) sistematica valutazione delle proprie prestazioni. Allorquando tutte queste condizioni vengono contemporaneamente a caratterizzare il luogo di lavoro del soggetto rispondente, si rileva un livello di competenze più elevato - ceteris paribus - rispetto a soluzioni di minore intensità. Purtroppo però la presenza di organizzazioni produttive con queste caratteristiche risulta alquanto modesta in Italia: esse non coinvolgono complessivamente più del 3 percento del lavoratori, contro il 33 percento della Gran Bretagna, e di quote analoghe registrate in altri paesi industriali europei (Coriat, 2002). La complementarità tra tecnologie ICT e livelli delle competenze praticate risulta emergere anche dai dati presi in considerazione per i lavoratori italiani e riguarda sia la figura dell’operaio industriale nell’uso di macchinari ad alto contenuto elettronico, sia in quella dell’impiegato nell’uso dello strumento PC per funzioni diverse, o di gestione di software ERP (Enterprise Resources Planning). Da ultimo, ma per nulla meno importane, dai dati esaminati sembra emergere una forma di path-dependency dello sviluppo delle competenze, nel senso che quei lavoratori che esercitano continuativamente la loro attività nell’ambito di contesti produttivi caratterizzati da disegni organizzativi virtuosi (quelli per intenderci da HPWO) fanno registrare una crescita delle loro competenze che non ha confronti rispetto a coloro che hanno una storia lavorativa opposta, vale a dire che hanno lavorato in contesti che di fatto costituiscono una ‘trappola’ da cui si può fuoruscire solo grazie a forti percorsi formativi ‘formali’. Derivare delle indicazioni di politica del lavoro e di politica industriale per il decisore pubblico sembra prematuro a questo stadio, anche se – qualora i fenomeni evidenziati venissero confermati da analisi econometriche ben calibrate- sarebbero immediate, ma di portata tale forse da sconvolgere le tradizionali strade finora battute.
Le competenze lavorative in Italia: declinazioni, misurazioni, correlazioni e dinamiche
LEONI, Riccardo
2006-01-01
Abstract
Il capitolo tratta delle definizioni e misurazioni delle competenze. Attraverso un’analisi fattoriale si perviene a costruire degli indici delle competenze agite da un campione (stratificato) di lavoratori dipendenti italiani. L’analisi consente di cogliere i seguenti aspetti: (i)la componente femminile della forza lavoro occupata alle dipendenze presenta un livello di competenze inferiore rispetto agli uomini; (ii) l’età centrale è associata a livelli di competenza più elevati rispetto alle classi periferiche della distribuzione; (iii) con riferimento ai titolo di studio si rileva una forte correlazione soprattutto in quelle competenze legate a discipline scolastiche o accademiche (scrittura, lettura calcolo); (iv) per tipologia dei rapporti di lavoro, i livelli di competenza risultano più elevati nei soggetti con contratti più stabili, che lasciano presupporre una maggior permanenza negli stessi luoghi di lavoro; (v) nell’ambito della distribuzione dei lavoratori per dimensione dell’unità locale, non emergono significative differenze nelle competenze, contrariamente alle comuni attese; (vi) fra i settori produttivi, invece, emergono delle situazioni di eccellenza nei comparti dell’intermediazione finanziaria, e in alcune competenze (come ad esempio, il lavoro di gruppo) nel manifatturiero science based. Nell’ambito più ristretto delle competenze ‘chiave’ (problem solving, comunicazione/relazione con clienti e collaboratori, e lavoro di gruppo), i livelli risultano crescere: (a) all’aumentare dell’anzianità aziendale; (b) al crescere del tempo ritenuto necessario per apprendere a svolgere bene l’attività eseguita; (c) all’allungarsi del tempo speso in formazione post-scolastica. La novità in assoluto per il panorama conoscitivo italiano risiede però nella forte correlazione (peraltro già rilevata e investigata nella letteratura specialistica straniera) tra livello delle competenze praticate dai lavoratori e alcune caratteristiche dei luoghi di lavoro, che contribuiscono a definire a livello internazionale le High Performance Work Organizations. Queste caratteristiche sono costituite da: (1) circoli di qualità; (2) diffusione delle informazioni di cui gode il soggetto, e consultazione intensa del lavoratore che avviene negli incontri periodi con il management di riferimento; (3) proposte di miglioramento ‘dal basso’; (4) lavoro in gruppo, all’interno di team dotati di autonomia e ‘potere’; (5) sistematica valutazione delle proprie prestazioni. Allorquando tutte queste condizioni vengono contemporaneamente a caratterizzare il luogo di lavoro del soggetto rispondente, si rileva un livello di competenze più elevato - ceteris paribus - rispetto a soluzioni di minore intensità. Purtroppo però la presenza di organizzazioni produttive con queste caratteristiche risulta alquanto modesta in Italia: esse non coinvolgono complessivamente più del 3 percento del lavoratori, contro il 33 percento della Gran Bretagna, e di quote analoghe registrate in altri paesi industriali europei (Coriat, 2002). La complementarità tra tecnologie ICT e livelli delle competenze praticate risulta emergere anche dai dati presi in considerazione per i lavoratori italiani e riguarda sia la figura dell’operaio industriale nell’uso di macchinari ad alto contenuto elettronico, sia in quella dell’impiegato nell’uso dello strumento PC per funzioni diverse, o di gestione di software ERP (Enterprise Resources Planning). Da ultimo, ma per nulla meno importane, dai dati esaminati sembra emergere una forma di path-dependency dello sviluppo delle competenze, nel senso che quei lavoratori che esercitano continuativamente la loro attività nell’ambito di contesti produttivi caratterizzati da disegni organizzativi virtuosi (quelli per intenderci da HPWO) fanno registrare una crescita delle loro competenze che non ha confronti rispetto a coloro che hanno una storia lavorativa opposta, vale a dire che hanno lavorato in contesti che di fatto costituiscono una ‘trappola’ da cui si può fuoruscire solo grazie a forti percorsi formativi ‘formali’. Derivare delle indicazioni di politica del lavoro e di politica industriale per il decisore pubblico sembra prematuro a questo stadio, anche se – qualora i fenomeni evidenziati venissero confermati da analisi econometriche ben calibrate- sarebbero immediate, ma di portata tale forse da sconvolgere le tradizionali strade finora battute.Pubblicazioni consigliate
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