Questo articolo riconsidera l'utilizzo del diritto d’opzione come strumento di tutela delle minoranze azionarie nelle operazioni di aumento di capitale. Secondo la legislazione italiana, così come quella di molti altri paesi, le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero di azioni possedute (art. 2441 cod. civ.). L’esistenza di questa norma trova fondamento teorico sia nella letteratura giuridica, sia in quella di corporate finance. Da un punto di vista giuridico, il diritto d’opzione è considerato fondamentale perché garantisce ad ogni azionista la tutela della quota di proprietà, in seguito ad operazioni di aumento di capitale. Sotto il profilo finanziario, il diritto d’opzione si rivela come uno strumento di tutela delle minoranze: esso, infatti, rende teoricamente irrilevante il prezzo delle azioni di nuova emissione rispetto a quello delle azioni esistenti. Fermo restando che, salvo condizioni particolari, le nuove azioni non vengono emesse ad un prezzo più elevato di quello delle azioni esistenti sul mercato, l'entità dello sconto in presenza del metodo dei diritti è ininfluente per gli azionisti. Infatti, per l'azionista che non intendesse sottoscrivere l'aumento la diluizione sarà compensata dal valore del diritto sul mercato dei diritti. Uno sconto elevato in assenza del metodo dei diritti favorirebbe, viceversa, gli azionisti entranti a scapito di quelli esistenti, diluendo il valore delle quote di quest’ultimi senza alcuna compensazione monetaria. Il nostro paper si interroga sul metodo dei diritti evidenziando come, per valori sufficientemente elevati dello sconto, gli azionisti siano di fatto costretti ad aderire all'aumento, direttamente o vendendo il diritto a valori anche inferiori a quelli teorici di conservazione della ricchezza. In tal modo la reazione del mercato all'aumento di capitale, anche se significativamente negativa, non porta quasi mai al fallimento dell'operazione. Questa condizione, che definiamo enforced subsciption, rappresenta a nostro parere una forma di “abuso” del metodo dei diritti. Per quale motivo allora una società dovrebbe ricorrere a operazioni evidentemente dannose per il valore dei suoi azionisti? La nostra interpretazione è che entrano in gioco i benefici privati. Un'operazione di ricapitalizzazione porta nuove risorse nella società, aumentandone il valore anche se i fondi vengono impiegati in investimenti con NPV negativi. Se i benefici privati sono intesi, come spesso avviene in letteratura, come frazione del valore della società, ne consegue che l'azionista che se ne può impossessare (quello di controllo) ha un secondo interesse che lo può spingere a capitalizzare anche quando non economicamente conveniente. Definiremo questa situazione come “condizione di abuso” del metodo dei diritti. Poiché l’enforced subscription realizzata sotto “condizione d’abuso” mette in discussione l’efficienza del mercato nel destinare i fondi ai migliori investimenti, riteniamo utile una riflessione sulla disciplina del diritto d’opzione che, senza metterne in discussione l’esistenza, tuteli le minoranze di fronte a investimenti con NPV negativi.

Uso ed abuso del diritto d’opzione nelle operazioni di aumento di capitale

PALEARI, Stefano;MEOLI, Michele;URGA, Giovanni
2006-01-01

Abstract

Questo articolo riconsidera l'utilizzo del diritto d’opzione come strumento di tutela delle minoranze azionarie nelle operazioni di aumento di capitale. Secondo la legislazione italiana, così come quella di molti altri paesi, le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero di azioni possedute (art. 2441 cod. civ.). L’esistenza di questa norma trova fondamento teorico sia nella letteratura giuridica, sia in quella di corporate finance. Da un punto di vista giuridico, il diritto d’opzione è considerato fondamentale perché garantisce ad ogni azionista la tutela della quota di proprietà, in seguito ad operazioni di aumento di capitale. Sotto il profilo finanziario, il diritto d’opzione si rivela come uno strumento di tutela delle minoranze: esso, infatti, rende teoricamente irrilevante il prezzo delle azioni di nuova emissione rispetto a quello delle azioni esistenti. Fermo restando che, salvo condizioni particolari, le nuove azioni non vengono emesse ad un prezzo più elevato di quello delle azioni esistenti sul mercato, l'entità dello sconto in presenza del metodo dei diritti è ininfluente per gli azionisti. Infatti, per l'azionista che non intendesse sottoscrivere l'aumento la diluizione sarà compensata dal valore del diritto sul mercato dei diritti. Uno sconto elevato in assenza del metodo dei diritti favorirebbe, viceversa, gli azionisti entranti a scapito di quelli esistenti, diluendo il valore delle quote di quest’ultimi senza alcuna compensazione monetaria. Il nostro paper si interroga sul metodo dei diritti evidenziando come, per valori sufficientemente elevati dello sconto, gli azionisti siano di fatto costretti ad aderire all'aumento, direttamente o vendendo il diritto a valori anche inferiori a quelli teorici di conservazione della ricchezza. In tal modo la reazione del mercato all'aumento di capitale, anche se significativamente negativa, non porta quasi mai al fallimento dell'operazione. Questa condizione, che definiamo enforced subsciption, rappresenta a nostro parere una forma di “abuso” del metodo dei diritti. Per quale motivo allora una società dovrebbe ricorrere a operazioni evidentemente dannose per il valore dei suoi azionisti? La nostra interpretazione è che entrano in gioco i benefici privati. Un'operazione di ricapitalizzazione porta nuove risorse nella società, aumentandone il valore anche se i fondi vengono impiegati in investimenti con NPV negativi. Se i benefici privati sono intesi, come spesso avviene in letteratura, come frazione del valore della società, ne consegue che l'azionista che se ne può impossessare (quello di controllo) ha un secondo interesse che lo può spingere a capitalizzare anche quando non economicamente conveniente. Definiremo questa situazione come “condizione di abuso” del metodo dei diritti. Poiché l’enforced subscription realizzata sotto “condizione d’abuso” mette in discussione l’efficienza del mercato nel destinare i fondi ai migliori investimenti, riteniamo utile una riflessione sulla disciplina del diritto d’opzione che, senza metterne in discussione l’esistenza, tuteli le minoranze di fronte a investimenti con NPV negativi.
journal article - articolo
2006
Paleari, Stefano; Meoli, Michele; Urga, Giovanni
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