In seguito allo scoppio dell’emergenza Covid-19, lo smartworking è assurto agli onori della cronaca. Questa elevata popolarità ha avviato un dibattito sui media nel quale si sono confrontate opinioni diverse. Tra le quali possiamo citare quelle del giuslavorista Pietro Ichino (“Smartworking? Per dipendenti pubblici spesso è una vacanza”) e del sindaco di Milano, Giuseppe Sala (“È ora di tornare a lavorare”) pubblicate entrambe dal Corriere della Sera[1]. Si tratta di due opinioni che equiparano lo smartworking al Non-lavoro[2]. A questo proposito una precisazione è necessaria: quello che le organizzazioni hanno adottato durante l’emergenza e i lavoratori hanno usato non è smartworking, ma un più modesto home working o lavoro da casa del tutto assimilabile ad un telelavoro forzato. Infatti, lo smartworking per essere tale[3], ossia “Smart”, dovrebbe essere caratterizzato da una flessibilità spazio-temporale (figura 1) basata sulla libertà e sull’autonomia del lavoratore nel decidere quando e dove lavorare. Libertà ed autonomia esercitate in un contesto organizzativo basato sulla fiducia reciproca e su una valutazione degli obiettivi raggiunti. Questi aspetti stanno alla base dello slogan che accompagna lo smartworking: “Lavoro dove voglio (a casa, in ufficio, al parco, ecc.) e quando voglio (la mattina, il pomeriggio, la sera, la notte)”.
(2020). Lo Smartworking tra moda, retorica e pochi fatti [journal article - articolo]. In ECONOMIA E POLITICA. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/199208
Lo Smartworking tra moda, retorica e pochi fatti
Basaglia, Stefano;Simonella, Zenia;
2020-01-01
Abstract
In seguito allo scoppio dell’emergenza Covid-19, lo smartworking è assurto agli onori della cronaca. Questa elevata popolarità ha avviato un dibattito sui media nel quale si sono confrontate opinioni diverse. Tra le quali possiamo citare quelle del giuslavorista Pietro Ichino (“Smartworking? Per dipendenti pubblici spesso è una vacanza”) e del sindaco di Milano, Giuseppe Sala (“È ora di tornare a lavorare”) pubblicate entrambe dal Corriere della Sera[1]. Si tratta di due opinioni che equiparano lo smartworking al Non-lavoro[2]. A questo proposito una precisazione è necessaria: quello che le organizzazioni hanno adottato durante l’emergenza e i lavoratori hanno usato non è smartworking, ma un più modesto home working o lavoro da casa del tutto assimilabile ad un telelavoro forzato. Infatti, lo smartworking per essere tale[3], ossia “Smart”, dovrebbe essere caratterizzato da una flessibilità spazio-temporale (figura 1) basata sulla libertà e sull’autonomia del lavoratore nel decidere quando e dove lavorare. Libertà ed autonomia esercitate in un contesto organizzativo basato sulla fiducia reciproca e su una valutazione degli obiettivi raggiunti. Questi aspetti stanno alla base dello slogan che accompagna lo smartworking: “Lavoro dove voglio (a casa, in ufficio, al parco, ecc.) e quando voglio (la mattina, il pomeriggio, la sera, la notte)”.File | Dimensione del file | Formato | |
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