Il corpo è un’esperienza che prende corpo progressivamente, è corpo interiore, luogo d’apprendimento. Evidenza di forza e di debolezza. La pressione del nostro corpo sul presente e sui pensieri ci dà ansia, e spesso soffoca l’incontro ben prima che riesca a nascere. I corpi si ritraggono dall’incontro, si fanno insensibili, rattrappiti: non “sentono” l’altro, non vogliono sentire il mondo, temono l’affidamento e rifuggono la reciprocità. Come nota Eugenio Borgna, in una bella riflessione sulla amicalità come dimensione delle relazioni di cura, “si è deboli o si è forti in una circolarità di diversità continuamente trascese e superate”. È l’incontro di corpi che porta in evidenza la ferita della diversità, la minaccia della forza, o quella della fredda indifferenza, che lo può abitare. E che l’incontro stesso può attivare. È nell’incontro di corpi che la debolezza, la vulnerabilità, può diventare, e spesso diventa, handicap. Ma questa inevitabile ferita trova ancora in un incontro, quello segnato da fraternità e cura, la possibilità di reggere la dipendenza e attraversarne la debolezza. Fa la differenza essere in una situazione di gruppo sufficientemente continuativa, come quella di un setting apprenditivo che permette l’integrazione tra ciò che c’è in noi e fuori di noi, o in una situazione seriale, in relazioni di indifferenza, proceduralizzate. Il corpo, specie quando così si svela esposto nel suo limite, svela il suo essere attesa di comunità. Queste situazioni, queste relazioni, (sono quelle di molti servizi sanitari, o formativi, di molti contesti aziendali, del mercato dei servizi culturali…) chiedono d’essere “utilizzate”, colte come occasioni, opportunità, … a partire da autonomie, intelligenza, capacità relazionali, criteri per le scelte già possedute. Pena il ridursi a viverle come situazioni e contesti di relazione nelle quali “continuare a chiedere” (sostegno, aiuto, assistenza, ascolto; ad altri). Abitare insieme: non è poco, ed è qui che può nascere il grande conflitto, riconoscendoci portatori dello stesso fremito della vita, dello stesso desiderio. È il desiderio mimetico l’elemento che turba la convivenza. Quello che avviene qui in questi anni, quello che qui assume visibilità, (come assume visibilità in altri momenti della vita di scuole, servizi, quartieri, vicinati) è prezioso perché rende dicibile la differenza, ma rende dicibile anche l’uguale desiderio di vita, il pulsare nella stessa vita. Ci dà un’indicazione preziosa: si può trovare nella dedizione a questo pulsare della vita tra noi, il senso risonante di quel che possiamo agire, ed anche il gusto di poter essere, forse, un poco felici.

Il corpo finito, lo sguardo e la parola - per un'antropologia della fraternità

LIZZOLA, Ivo
2006-01-01

Abstract

Il corpo è un’esperienza che prende corpo progressivamente, è corpo interiore, luogo d’apprendimento. Evidenza di forza e di debolezza. La pressione del nostro corpo sul presente e sui pensieri ci dà ansia, e spesso soffoca l’incontro ben prima che riesca a nascere. I corpi si ritraggono dall’incontro, si fanno insensibili, rattrappiti: non “sentono” l’altro, non vogliono sentire il mondo, temono l’affidamento e rifuggono la reciprocità. Come nota Eugenio Borgna, in una bella riflessione sulla amicalità come dimensione delle relazioni di cura, “si è deboli o si è forti in una circolarità di diversità continuamente trascese e superate”. È l’incontro di corpi che porta in evidenza la ferita della diversità, la minaccia della forza, o quella della fredda indifferenza, che lo può abitare. E che l’incontro stesso può attivare. È nell’incontro di corpi che la debolezza, la vulnerabilità, può diventare, e spesso diventa, handicap. Ma questa inevitabile ferita trova ancora in un incontro, quello segnato da fraternità e cura, la possibilità di reggere la dipendenza e attraversarne la debolezza. Fa la differenza essere in una situazione di gruppo sufficientemente continuativa, come quella di un setting apprenditivo che permette l’integrazione tra ciò che c’è in noi e fuori di noi, o in una situazione seriale, in relazioni di indifferenza, proceduralizzate. Il corpo, specie quando così si svela esposto nel suo limite, svela il suo essere attesa di comunità. Queste situazioni, queste relazioni, (sono quelle di molti servizi sanitari, o formativi, di molti contesti aziendali, del mercato dei servizi culturali…) chiedono d’essere “utilizzate”, colte come occasioni, opportunità, … a partire da autonomie, intelligenza, capacità relazionali, criteri per le scelte già possedute. Pena il ridursi a viverle come situazioni e contesti di relazione nelle quali “continuare a chiedere” (sostegno, aiuto, assistenza, ascolto; ad altri). Abitare insieme: non è poco, ed è qui che può nascere il grande conflitto, riconoscendoci portatori dello stesso fremito della vita, dello stesso desiderio. È il desiderio mimetico l’elemento che turba la convivenza. Quello che avviene qui in questi anni, quello che qui assume visibilità, (come assume visibilità in altri momenti della vita di scuole, servizi, quartieri, vicinati) è prezioso perché rende dicibile la differenza, ma rende dicibile anche l’uguale desiderio di vita, il pulsare nella stessa vita. Ci dà un’indicazione preziosa: si può trovare nella dedizione a questo pulsare della vita tra noi, il senso risonante di quel che possiamo agire, ed anche il gusto di poter essere, forse, un poco felici.
journal article - articolo
2006
Lizzola, Ivo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10446/20111
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