Il capitolo ripercorre alcuni elementi di sfondo del dibattito tra David Hume e John Douglas sulla credibilità dei miracoli (1748-54), cercando di contestualizzare tre sviluppi scientifico-filosofici che confluirono a rendere la questione di particolare importanza in quel momento storico. Il primo fattore identificato è l’influenza duratura dello scetticismo antico, riscoperto nel tardo Cinquecento e variamente declinato lungo i secoli successivi. Nello specifico, la sfida pirroniana tende a innalzare i requisiti necessari alla razionale accettabilità di qualsiasi credenza e, allo stesso tempo, riduce il contenuto richiesto in materia religiosa perché una persona possa definirsi credente. Nella seconda sezione del capitolo, si discute l’emergere, a partire dalla teoresi fisica di Galileo e Cartesio per arrivare alla speculazione metafisica di Spinoza e Leibniz, di una nozione di ‘legge di natura’ relativa a cui quella di ‘miracolo’ risulta effettivamente incoerente, perché un’infrazione di una legge stabilita da Dio; e si suggerisce che elementi di questa nuova concezione influiscano sul ragionamento che Hume propone – pur non in propria persona – per l’inesistenza di miracoli. La terza sezione cerca di illustrare i modi in cui molti dei miracoli raccontati nei Vangeli non vanno interpretati come ‘prove esterne’ della divinità di Gesù, anche se Hume e Douglas sembrano adottare un modello puramente ‘indiziario’ del ruolo dei miracoli nella fede Cristiana. Si suggerisce, in base al diversissimo trattamento che se ne trova in, ad esempio, Hobbes (1651), che la rivoluzione nel calcolo delle probabilità svolta tra il 1660 e l’inizio del Settecento sia stata uno dei motivi importanti per questo appiattimento del concetto stesso di miracolo. Infine, si discute lo statuto della ‘proporzione tra la credenza e l’evidenza’ affermata da Hume. Si scopre che il testo humeiano si presta a due interpretazioni di questa ‘proporzione’ con esiti diversi, e si ipotizza che l’incertezza a riguardo abbia spronato Thomas Bayes a formulare il teorema di inferenza statistica che porta il suo nome e che, applicato alla questione della testimonianza per i miracoli, dà retta a Hume nel rifiutare la ragionevolezza della credenza popolare.

Credibilità relativa: il dibattito sui miracoli nel Settecento

DAVIES, Richard William
2005-01-01

Abstract

Il capitolo ripercorre alcuni elementi di sfondo del dibattito tra David Hume e John Douglas sulla credibilità dei miracoli (1748-54), cercando di contestualizzare tre sviluppi scientifico-filosofici che confluirono a rendere la questione di particolare importanza in quel momento storico. Il primo fattore identificato è l’influenza duratura dello scetticismo antico, riscoperto nel tardo Cinquecento e variamente declinato lungo i secoli successivi. Nello specifico, la sfida pirroniana tende a innalzare i requisiti necessari alla razionale accettabilità di qualsiasi credenza e, allo stesso tempo, riduce il contenuto richiesto in materia religiosa perché una persona possa definirsi credente. Nella seconda sezione del capitolo, si discute l’emergere, a partire dalla teoresi fisica di Galileo e Cartesio per arrivare alla speculazione metafisica di Spinoza e Leibniz, di una nozione di ‘legge di natura’ relativa a cui quella di ‘miracolo’ risulta effettivamente incoerente, perché un’infrazione di una legge stabilita da Dio; e si suggerisce che elementi di questa nuova concezione influiscano sul ragionamento che Hume propone – pur non in propria persona – per l’inesistenza di miracoli. La terza sezione cerca di illustrare i modi in cui molti dei miracoli raccontati nei Vangeli non vanno interpretati come ‘prove esterne’ della divinità di Gesù, anche se Hume e Douglas sembrano adottare un modello puramente ‘indiziario’ del ruolo dei miracoli nella fede Cristiana. Si suggerisce, in base al diversissimo trattamento che se ne trova in, ad esempio, Hobbes (1651), che la rivoluzione nel calcolo delle probabilità svolta tra il 1660 e l’inizio del Settecento sia stata uno dei motivi importanti per questo appiattimento del concetto stesso di miracolo. Infine, si discute lo statuto della ‘proporzione tra la credenza e l’evidenza’ affermata da Hume. Si scopre che il testo humeiano si presta a due interpretazioni di questa ‘proporzione’ con esiti diversi, e si ipotizza che l’incertezza a riguardo abbia spronato Thomas Bayes a formulare il teorema di inferenza statistica che porta il suo nome e che, applicato alla questione della testimonianza per i miracoli, dà retta a Hume nel rifiutare la ragionevolezza della credenza popolare.
book chapter - capitolo di libro
2005
Davies, Richard William
File allegato/i alla scheda:
Non ci sono file allegati a questa scheda.
Pubblicazioni consigliate

Aisberg ©2008 Servizi bibliotecari, Università degli studi di Bergamo | Terms of use/Condizioni di utilizzo

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10446/20742
Citazioni
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact