Negli studi di Law and Literature potrebbe utilmente essere analizzata la novella di Madonna Filippa (VI, 7), che ruota intorno ad una legge ingiusta, lo statuto «non men biasimevole che aspro», e ripropone una requisitoria processuale, in cui l’arringa della protagonista le vale l’assoluzione e – cosa ancora più di rilievo – la modifica della legge. Nel Decameron, però, anche se in maniera meno evidente, la legge, la norma e le infrazioni, sono un elemento fondamentale: val forse la pena di ricordare che «l’orrido cominciamento» mette da subito in rilievo come la peste abbia portato a uno stravolgimento della realtà cittadina, in cui «la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane» era «quasi caduta e dissoluta tutta». L’opera, dunque, si colloca in un momento di vacanza delle leggi. La situazione viene ribadita anche nella Conclusione della VI giornata: «per la perversità di questa stagione, gli giudici hanno lasciati i tribunali; le leggi, così le divine come le umane, tacciono; e ampia licenzia per conservar la vita è conceduta a ciascuno». Sembra per questo motivo opportuno indagare quale significato venga attributo dall’autore a leggi e norme. Nella novella di Teodoro (V, 7), per esempio, la condanna del protagonista a morte si spiega solo l’infrazione di una legge, che non è esplicitata, ma di certo fa riferimento al fatto che Teodoro, uomo non libero, non avrebbe potuto sposare Violante, emendando il loro amore clandestino con un “matrimonio riparatore”. Dopo l’agnizione di Fileo, infatti, la vicenda ha un rapido e semplice scioglimento: «colui il quale voi mandate a morire come servo, è libero uomo e mio figliuolo, ed è presto di torre per moglie colei la qual si dice che della sua virginità ha privata; e però piacciavi di tanto indugiare la esecuzione che saper si possa se ella lui vuol per marito, acciò che contro alla legge, dove ella il voglia, non vi troviate aver fatto». La legge, che l’aveva condannato come servo, è la stessa che salva Teodoro dopo la rivelazione della sua nascita. Anche in altre novelle troviamo riferimenti alle leggi, che possono essere umane, divine (I, 3, Melchisedec; II, 7, Il soldano di Babilonia), o imposte dalla natura (Introduzione alla IV giornata, la novelletta delle papere). Vi è poi un’altra legge, quella interna al testo, che regola la vita della microsocietà dei narratori, e in particolare il modus novellandi, legge che viene sospesa da Emilia, la quale lascia libertà di scelta durante il suo “governo”, ma che subito dopo viene ripristinata («giudico che sia da ritornare alla legge usata»).

(2014). «Sotto ristretta legge ragionato abbiamo». Èthos e nòmos nel «Decameron» . In ATTI DELL'ATENEO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI BERGAMO. Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/230969

«Sotto ristretta legge ragionato abbiamo». Èthos e nòmos nel «Decameron»

Cappelletti, Cristina
2014-01-01

Abstract

Negli studi di Law and Literature potrebbe utilmente essere analizzata la novella di Madonna Filippa (VI, 7), che ruota intorno ad una legge ingiusta, lo statuto «non men biasimevole che aspro», e ripropone una requisitoria processuale, in cui l’arringa della protagonista le vale l’assoluzione e – cosa ancora più di rilievo – la modifica della legge. Nel Decameron, però, anche se in maniera meno evidente, la legge, la norma e le infrazioni, sono un elemento fondamentale: val forse la pena di ricordare che «l’orrido cominciamento» mette da subito in rilievo come la peste abbia portato a uno stravolgimento della realtà cittadina, in cui «la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane» era «quasi caduta e dissoluta tutta». L’opera, dunque, si colloca in un momento di vacanza delle leggi. La situazione viene ribadita anche nella Conclusione della VI giornata: «per la perversità di questa stagione, gli giudici hanno lasciati i tribunali; le leggi, così le divine come le umane, tacciono; e ampia licenzia per conservar la vita è conceduta a ciascuno». Sembra per questo motivo opportuno indagare quale significato venga attributo dall’autore a leggi e norme. Nella novella di Teodoro (V, 7), per esempio, la condanna del protagonista a morte si spiega solo l’infrazione di una legge, che non è esplicitata, ma di certo fa riferimento al fatto che Teodoro, uomo non libero, non avrebbe potuto sposare Violante, emendando il loro amore clandestino con un “matrimonio riparatore”. Dopo l’agnizione di Fileo, infatti, la vicenda ha un rapido e semplice scioglimento: «colui il quale voi mandate a morire come servo, è libero uomo e mio figliuolo, ed è presto di torre per moglie colei la qual si dice che della sua virginità ha privata; e però piacciavi di tanto indugiare la esecuzione che saper si possa se ella lui vuol per marito, acciò che contro alla legge, dove ella il voglia, non vi troviate aver fatto». La legge, che l’aveva condannato come servo, è la stessa che salva Teodoro dopo la rivelazione della sua nascita. Anche in altre novelle troviamo riferimenti alle leggi, che possono essere umane, divine (I, 3, Melchisedec; II, 7, Il soldano di Babilonia), o imposte dalla natura (Introduzione alla IV giornata, la novelletta delle papere). Vi è poi un’altra legge, quella interna al testo, che regola la vita della microsocietà dei narratori, e in particolare il modus novellandi, legge che viene sospesa da Emilia, la quale lascia libertà di scelta durante il suo “governo”, ma che subito dopo viene ripristinata («giudico che sia da ritornare alla legge usata»).
2014
Cappelletti, Cristina
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