L’articolo prende in esame un noto passo del Convivio, nel quale Dante ricorda le circostanze del proprio accostamento agli studi filosofici, in particolare rivelando quali letture lo hanno indotto, all’indomani della morte di Beatrice (1290), a cominciare a frequentare le «scuole delli religiosi» e le «disputazioni delli filosofanti»: la Consolatio philosophiae di Boezio e il De Amicitia di Cicerone, cui l’Alighieri si era inizialmente accostato con lo scopo di trovare rimedio al dolore per la perdita della donna amata, scoprendovi poi un ‘tesoro’ scientifico di maggior pregio. Interesse precipuo dell’articolo è l’analisi della controversa perifrasi che designa la Consolatio come «quello non conosciuto da molti libro di Boezio» (Convivio II XII 2), il cui significato arrovella da sempre la critica. Il carattere problematico di questa definizione risiede nella sua contraddizione oggettiva con la indubbia popolarità di cui la Consolatio godeva al tempo in cui Dante stendeva il Convivio, testimoniata dalla vasta tradizione manoscritta dell’opera boeziana e dai numerosi commenti che sin dall’Alto Medioevo erano fioriti attorno ad essa. A quale genere di rarità allude dunque l’Alighieri, quando designa la Consolatio come opera conosciuta da un esiguo numero di lettori? Prendendo in carico tale quesito, l’articolo adduce testimonianze letterarie coeve al Convivio (Nicola Trevet e Jean de Meung), ipotizzando in conclusione che l’affermazione dantesca alluda al carattere elitario di un accesso filosoficamente dotto al libro di Boezio, precluso ai molti lettori inadeguati per difetto d’ingegno e riservato ai pochi dotati di una intelligenza speculativa matura (quale Dante si ritiene all’altezza del Convivio).
(2012). «Quasi come sognando». Dante e la presunta rarità del «libro di Boezio» (Convivio, II XII 2-7) [journal article - articolo]. In MEDIAEVAL SOPHIA. Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/240826
«Quasi come sognando». Dante e la presunta rarità del «libro di Boezio» (Convivio, II XII 2-7)
Lombardo, Luca
2012-01-01
Abstract
L’articolo prende in esame un noto passo del Convivio, nel quale Dante ricorda le circostanze del proprio accostamento agli studi filosofici, in particolare rivelando quali letture lo hanno indotto, all’indomani della morte di Beatrice (1290), a cominciare a frequentare le «scuole delli religiosi» e le «disputazioni delli filosofanti»: la Consolatio philosophiae di Boezio e il De Amicitia di Cicerone, cui l’Alighieri si era inizialmente accostato con lo scopo di trovare rimedio al dolore per la perdita della donna amata, scoprendovi poi un ‘tesoro’ scientifico di maggior pregio. Interesse precipuo dell’articolo è l’analisi della controversa perifrasi che designa la Consolatio come «quello non conosciuto da molti libro di Boezio» (Convivio II XII 2), il cui significato arrovella da sempre la critica. Il carattere problematico di questa definizione risiede nella sua contraddizione oggettiva con la indubbia popolarità di cui la Consolatio godeva al tempo in cui Dante stendeva il Convivio, testimoniata dalla vasta tradizione manoscritta dell’opera boeziana e dai numerosi commenti che sin dall’Alto Medioevo erano fioriti attorno ad essa. A quale genere di rarità allude dunque l’Alighieri, quando designa la Consolatio come opera conosciuta da un esiguo numero di lettori? Prendendo in carico tale quesito, l’articolo adduce testimonianze letterarie coeve al Convivio (Nicola Trevet e Jean de Meung), ipotizzando in conclusione che l’affermazione dantesca alluda al carattere elitario di un accesso filosoficamente dotto al libro di Boezio, precluso ai molti lettori inadeguati per difetto d’ingegno e riservato ai pochi dotati di una intelligenza speculativa matura (quale Dante si ritiene all’altezza del Convivio).File | Dimensione del file | Formato | |
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