L'Autore, in La pena del suicidio, attraversa l’etica del suicidio dalle vicende bibliche all’idee rivoluzionarie dell’Illuminismo. Gli interrogativi filosofici, teologici, sociologici e criminologici, oltre che giuridici, sulle scelte di fine vita, accompagnano l’intera storia dell’umanità, facendo emergere il file rouge della riflessione sull’inafferrabile razionalità autoreferenziale della morte volontaria, che l'Autore individua nella relazione ‘spezzata’ tra il suicida ed il contesto democratico. Nel contributo riflette sulle conseguenze della decisione ‘legislativa’ della Corte costituzionale (L. 242/2019) che ha dato innovativo rilievo alla volontà individuale dell’io assassino giustificata dalla personale intollerabilità delle sofferenze patite per una malattia terminale con trattamento sanitario di sostegno vitale. Tuttavia, l’espressione utilizzata dalla Consulta per descrivere il contesto abilitante la legittimità del suicidio medicalmente assistito, alla stregua dei criteri dell’esegesi penalistica de libertate, corre il rischio concreto di favorire un’interpretazione che riduca ulteriormente lo spettro di rilevanza penale della partecipazione suicidaria (art. 580 c.p.), escludendo – potenzialmente – anche casi in cui la malattia non è ‘incurabile’ e consentendo – sempre potenzialmente – a chi patisce una disabilità fisica o psichica (non psichiatrica) di accedere al programma suicidario pubblico. L'Autore conclude che le cure palliative e del dolore (L. 219/2017) potrebbero sopperire all’esigenza umana di fuggire la pena della mortalità, poiché essere andati oltre questo limite, secondo il decisum costituzionale, potrebbe consentire di superare l’esegesi rigorosa dell’irreversibilità della malattia sofferta, ‘approvando’ scelte suicidarie incompatibili con il senso di umanità solidale.
(2024). La pena del suicidio . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/266549
La pena del suicidio
Stea, Gaetano
2024-01-01
Abstract
L'Autore, in La pena del suicidio, attraversa l’etica del suicidio dalle vicende bibliche all’idee rivoluzionarie dell’Illuminismo. Gli interrogativi filosofici, teologici, sociologici e criminologici, oltre che giuridici, sulle scelte di fine vita, accompagnano l’intera storia dell’umanità, facendo emergere il file rouge della riflessione sull’inafferrabile razionalità autoreferenziale della morte volontaria, che l'Autore individua nella relazione ‘spezzata’ tra il suicida ed il contesto democratico. Nel contributo riflette sulle conseguenze della decisione ‘legislativa’ della Corte costituzionale (L. 242/2019) che ha dato innovativo rilievo alla volontà individuale dell’io assassino giustificata dalla personale intollerabilità delle sofferenze patite per una malattia terminale con trattamento sanitario di sostegno vitale. Tuttavia, l’espressione utilizzata dalla Consulta per descrivere il contesto abilitante la legittimità del suicidio medicalmente assistito, alla stregua dei criteri dell’esegesi penalistica de libertate, corre il rischio concreto di favorire un’interpretazione che riduca ulteriormente lo spettro di rilevanza penale della partecipazione suicidaria (art. 580 c.p.), escludendo – potenzialmente – anche casi in cui la malattia non è ‘incurabile’ e consentendo – sempre potenzialmente – a chi patisce una disabilità fisica o psichica (non psichiatrica) di accedere al programma suicidario pubblico. L'Autore conclude che le cure palliative e del dolore (L. 219/2017) potrebbero sopperire all’esigenza umana di fuggire la pena della mortalità, poiché essere andati oltre questo limite, secondo il decisum costituzionale, potrebbe consentire di superare l’esegesi rigorosa dell’irreversibilità della malattia sofferta, ‘approvando’ scelte suicidarie incompatibili con il senso di umanità solidale.File | Dimensione del file | Formato | |
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