Disagio e fragilità sono condizioni che, se non prontamente affrontate, possono avere sui giovani conseguenze sia a breve che a lungo termine: se da una parte, infatti, sofferenze e difficoltà caratterizzano già la loro quotidianità, ad essere a rischio per il futuro è invece l’inclusione all’interno della società in qualità di cittadini attivi e consapevoli (Bertolini & Caronia, 2015). Il contesto attuale, anche a seguito della pandemia da Covid-19 e della guerra in Ucraina, è contraddistinto da stati di insicurezza, incertezza, precarietà e abitato da un numero sempre più ampio e differente di fragilità, anche e soprattutto tra i giovani. I comportamenti che questi mettono in atto, che sovente sono “percepiti dissonanti rispetto ad un certo modello condiviso di competenza sociale” (Bertolini & Caronia, 2015, p. 35), fanno sì che essi vengano riconosciuti come “ragazzi difficili” (Bertolini & Caronia, 2015) e/o “rivolta” (Canevaro A., 1976), quelli per i quali “viene la tentazione di levarseli di torno” (Scuola di Barbiana, 1967, p.20) perché con loro, insomma, tutto “diventa più difficile” (Ibidem). Allontanarli, però, non può essere la soluzione definitiva; sarebbe solo un rimandare il problema a quando ormai sarà troppo tardi. Ed è qui che entrano in gioco pedagogisti e educatori. Quale può essere il loro ruolo in questo contesto e di fronte a questi bisogni? Se il cambiamento di rotta per i giovani fragili è diventato una necessità, pedagogisti e educatori possono e devono assumersi il compito di camminare accanto a loro nel percorso di “riposizionamento”, affinché la minaccia dell’esclusione sociale resti irrealizzata. Si può ipotizzare di partire proprio dal corpo (Digennaro S., 2021): pedagogisti e educatori, dunque, possono pensare e progettare esperienze, diverse da quelle che i minori sono soliti provare, che diano voce e spazio al corpo, attraverso le quali i giovani sperimentino “l’abitarlo” e prendano coscienza della sua natura multidimensionale (sociale, psichica, corporea e sensoriale) (Digennaro S., 2021). A tal proposito, possono essere prese in considerazione le attività corporee, motorie e sportive che, per loro natura, potenzialmente portano benefici a più livelli, migliorando anche la qualità di vita (presente e futura) di chi le pratica e favorendone l’inclusione sociale. Tenuto conto del fatto che, però, i vantaggi di queste attività non sono scontati, ma dipendono da differenti componenti (Hartmann D., 2003), è necessario che pedagogisti e educatori intervengano direzionando tali esperienze verso la strada dell’intenzionalità educativa.

(2024). Dare la parola ai corpi. L'inclusione dei giovani fragili attraverso la pratica motorio-sportiva . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/270579

Dare la parola ai corpi. L'inclusione dei giovani fragili attraverso la pratica motorio-sportiva

Sangalli, Silvia
2024-01-01

Abstract

Disagio e fragilità sono condizioni che, se non prontamente affrontate, possono avere sui giovani conseguenze sia a breve che a lungo termine: se da una parte, infatti, sofferenze e difficoltà caratterizzano già la loro quotidianità, ad essere a rischio per il futuro è invece l’inclusione all’interno della società in qualità di cittadini attivi e consapevoli (Bertolini & Caronia, 2015). Il contesto attuale, anche a seguito della pandemia da Covid-19 e della guerra in Ucraina, è contraddistinto da stati di insicurezza, incertezza, precarietà e abitato da un numero sempre più ampio e differente di fragilità, anche e soprattutto tra i giovani. I comportamenti che questi mettono in atto, che sovente sono “percepiti dissonanti rispetto ad un certo modello condiviso di competenza sociale” (Bertolini & Caronia, 2015, p. 35), fanno sì che essi vengano riconosciuti come “ragazzi difficili” (Bertolini & Caronia, 2015) e/o “rivolta” (Canevaro A., 1976), quelli per i quali “viene la tentazione di levarseli di torno” (Scuola di Barbiana, 1967, p.20) perché con loro, insomma, tutto “diventa più difficile” (Ibidem). Allontanarli, però, non può essere la soluzione definitiva; sarebbe solo un rimandare il problema a quando ormai sarà troppo tardi. Ed è qui che entrano in gioco pedagogisti e educatori. Quale può essere il loro ruolo in questo contesto e di fronte a questi bisogni? Se il cambiamento di rotta per i giovani fragili è diventato una necessità, pedagogisti e educatori possono e devono assumersi il compito di camminare accanto a loro nel percorso di “riposizionamento”, affinché la minaccia dell’esclusione sociale resti irrealizzata. Si può ipotizzare di partire proprio dal corpo (Digennaro S., 2021): pedagogisti e educatori, dunque, possono pensare e progettare esperienze, diverse da quelle che i minori sono soliti provare, che diano voce e spazio al corpo, attraverso le quali i giovani sperimentino “l’abitarlo” e prendano coscienza della sua natura multidimensionale (sociale, psichica, corporea e sensoriale) (Digennaro S., 2021). A tal proposito, possono essere prese in considerazione le attività corporee, motorie e sportive che, per loro natura, potenzialmente portano benefici a più livelli, migliorando anche la qualità di vita (presente e futura) di chi le pratica e favorendone l’inclusione sociale. Tenuto conto del fatto che, però, i vantaggi di queste attività non sono scontati, ma dipendono da differenti componenti (Hartmann D., 2003), è necessario che pedagogisti e educatori intervengano direzionando tali esperienze verso la strada dell’intenzionalità educativa.
2024
Sangalli, Silvia
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