Jurij Lotman’s definition of culture as “the totality of non hereditary information which is accumulated, stored and transmitted by various groups within human society” is the assumption that informs a good deal of today’s research in anthropology, psychology, sociology, linguistics and semiotics. Albeit with vast overlapping areas, each field delves into different aspects of the relation between human beings, external environment (including other human beings) and cultural mediation, applying various specific methodologies to analyze an array of cultural objects, thus shedding light on the cognitive, textual and social structures and mechanisms that the objects in question imply. What is the semiotic contribution to our understanding of how culture works? What sets a Semiotics of culture apart from similar disciplines and approaches: a certain way of focusing on the object of analysis, a set of hypotheses about the way in which cultural phenomena are communicated, a specific understanding of the concept of “culture”, a particular investigative method, the rigorous adoption of a technical metalanguage as a guarantee of a scientific approach...? What kind of questions do semiologists ask when confronted with the analysis of cultural artifacts, and what methods do they apply in a bid to answer those questions? Such are the issues underlying the current issue of Versus.

In un certo senso, l’espressione “semiotica della cultura” potrebbe apparire tautologica: persino quando si indagano i meccanismi interpretativi da cui scaturiscono i segni naturali, l’attenzione semiotica è rivolta alla mediazione enciclopedica che rende possibili i processi inferenziali, impedendoci di considerare tali processi come automaticamente dati. Ma se la semiosi è necessariamente culturale, che cosa distingue la semiotica della cultura dalla semiotica tout court? Ammesso che tale distinzione abbia senso, si potrebbe rispondere che la semiotica della cultura si occupa (semioticamente) di oggetti che una collettività considera come culturali. Ma si tratterebbe di una definizione circolare ed elusiva, la quale eviterebbe di affrontare proprio le questioni che rendono problematico, e dunque interessante, questo campo di studi. Ciò che andrebbe invece chiarito è il tipo di domanda che i semiologi rivolgono a tali oggetti e – di conseguenza – i metodi di analisi che essi impiegano per rispondere alle proprie domande. L’ipotesi di lavoro è che qualsiasi analisi che si rispetti – comprese le più rigorose dissezioni strutturaliste – si stagli sullo sfondo di qualche modello esplicativo (e non meramente descrittivo) dei fenomeni presi di volta in volta in esame. A che scopo analizzare semioticamente i testi della cultura, se non per capire qualcosa di più circa la genesi e/o il funzionamento comunicativo di tali testi, e/o i procedimenti tramite i quali essi vengono registrati nella (o rimossi dalla) enciclopedia collettiva, i rapporti che intrattengono con altri testi e (o), eventualmente, il modo – o i modi – in cui retroagiscono con le strutture cognitive e con i comportamenti di coloro che li interpretano e che li usano per perseguire i propri scopi adattivi, per molteplici e disparati che siano? Sulla scorta di simili considerazioni, ci è parso utile sollecitare un confronto tra visioni diverse della semiotica della cultura: come la si deve intendere, e qual è il suo ambito specifico? Che cosa la contraddistingue rispetto a discipline e ad approcci attigui: un certo modo di mettere a fuoco l’oggetto d’analisi, un complesso di ipotesi circa il funzionamento comunicativo dei fenomeni culturali, una specifica accezione del concetto di “cultura”, un particolare metodo di indagine, l’adozione rigorosa di un metalinguaggio tecnico inteso come garanzia di scientificità…? Come attestano i contributi raccolti in questo volume, l’attuale comunità semiotica è piuttosto divisa in proposito. Non si può fare la radiografia di una disciplina sulla base delle risposte a un call for papers. Tuttavia, se consideriamo le proposte che ci sono giunte come sintomi di tendenze generali in seno alla comunità semiotica, registriamo in questo numero di Versus la presenza maggioritaria di interventi che si rifanno a un paradigma strutturalista assestato, per quanto percorso da divergenze metodologiche e da sottili dibattiti interni. Poco (o per nulla) rappresentato, viceversa, il filone della semiotica interpretativa, che pure avrebbe buon gioco ad approfondire l’interfaccia tra la semiosfera lotmaniana e l’enciclopedia echiana, a interrogarsi sulle modalità di negoziazione culturale del senso, e magari a raccogliere la sfida recentemente lanciata dalle scienze cognitive (inconsapevolmente debitrici di Peirce e di Vygotskij), per elaborare nuovi modelli con cui studiare i complessi meccanismi retroattivi che coinvolgono i meccanismi cognitivi, i dispositivi semiotici, e gli artefatti simbolici per mezzo dei quali le comunità umane creano, modellano e trasformano le nicchie culturali in cui vivono e sopravvivono.

(2012). From Analysis to Theory: Afterthoughts on the Semiotics of Culture [journal article - articolo]. In VS. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/28353

From Analysis to Theory: Afterthoughts on the Semiotics of Culture

PISANTY, Valentina;
2012-01-01

Abstract

Jurij Lotman’s definition of culture as “the totality of non hereditary information which is accumulated, stored and transmitted by various groups within human society” is the assumption that informs a good deal of today’s research in anthropology, psychology, sociology, linguistics and semiotics. Albeit with vast overlapping areas, each field delves into different aspects of the relation between human beings, external environment (including other human beings) and cultural mediation, applying various specific methodologies to analyze an array of cultural objects, thus shedding light on the cognitive, textual and social structures and mechanisms that the objects in question imply. What is the semiotic contribution to our understanding of how culture works? What sets a Semiotics of culture apart from similar disciplines and approaches: a certain way of focusing on the object of analysis, a set of hypotheses about the way in which cultural phenomena are communicated, a specific understanding of the concept of “culture”, a particular investigative method, the rigorous adoption of a technical metalanguage as a guarantee of a scientific approach...? What kind of questions do semiologists ask when confronted with the analysis of cultural artifacts, and what methods do they apply in a bid to answer those questions? Such are the issues underlying the current issue of Versus.
journal article - articolo
2012
VS
In un certo senso, l’espressione “semiotica della cultura” potrebbe apparire tautologica: persino quando si indagano i meccanismi interpretativi da cui scaturiscono i segni naturali, l’attenzione semiotica è rivolta alla mediazione enciclopedica che rende possibili i processi inferenziali, impedendoci di considerare tali processi come automaticamente dati. Ma se la semiosi è necessariamente culturale, che cosa distingue la semiotica della cultura dalla semiotica tout court? Ammesso che tale distinzione abbia senso, si potrebbe rispondere che la semiotica della cultura si occupa (semioticamente) di oggetti che una collettività considera come culturali. Ma si tratterebbe di una definizione circolare ed elusiva, la quale eviterebbe di affrontare proprio le questioni che rendono problematico, e dunque interessante, questo campo di studi. Ciò che andrebbe invece chiarito è il tipo di domanda che i semiologi rivolgono a tali oggetti e – di conseguenza – i metodi di analisi che essi impiegano per rispondere alle proprie domande. L’ipotesi di lavoro è che qualsiasi analisi che si rispetti – comprese le più rigorose dissezioni strutturaliste – si stagli sullo sfondo di qualche modello esplicativo (e non meramente descrittivo) dei fenomeni presi di volta in volta in esame. A che scopo analizzare semioticamente i testi della cultura, se non per capire qualcosa di più circa la genesi e/o il funzionamento comunicativo di tali testi, e/o i procedimenti tramite i quali essi vengono registrati nella (o rimossi dalla) enciclopedia collettiva, i rapporti che intrattengono con altri testi e (o), eventualmente, il modo – o i modi – in cui retroagiscono con le strutture cognitive e con i comportamenti di coloro che li interpretano e che li usano per perseguire i propri scopi adattivi, per molteplici e disparati che siano? Sulla scorta di simili considerazioni, ci è parso utile sollecitare un confronto tra visioni diverse della semiotica della cultura: come la si deve intendere, e qual è il suo ambito specifico? Che cosa la contraddistingue rispetto a discipline e ad approcci attigui: un certo modo di mettere a fuoco l’oggetto d’analisi, un complesso di ipotesi circa il funzionamento comunicativo dei fenomeni culturali, una specifica accezione del concetto di “cultura”, un particolare metodo di indagine, l’adozione rigorosa di un metalinguaggio tecnico inteso come garanzia di scientificità…? Come attestano i contributi raccolti in questo volume, l’attuale comunità semiotica è piuttosto divisa in proposito. Non si può fare la radiografia di una disciplina sulla base delle risposte a un call for papers. Tuttavia, se consideriamo le proposte che ci sono giunte come sintomi di tendenze generali in seno alla comunità semiotica, registriamo in questo numero di Versus la presenza maggioritaria di interventi che si rifanno a un paradigma strutturalista assestato, per quanto percorso da divergenze metodologiche e da sottili dibattiti interni. Poco (o per nulla) rappresentato, viceversa, il filone della semiotica interpretativa, che pure avrebbe buon gioco ad approfondire l’interfaccia tra la semiosfera lotmaniana e l’enciclopedia echiana, a interrogarsi sulle modalità di negoziazione culturale del senso, e magari a raccogliere la sfida recentemente lanciata dalle scienze cognitive (inconsapevolmente debitrici di Peirce e di Vygotskij), per elaborare nuovi modelli con cui studiare i complessi meccanismi retroattivi che coinvolgono i meccanismi cognitivi, i dispositivi semiotici, e gli artefatti simbolici per mezzo dei quali le comunità umane creano, modellano e trasformano le nicchie culturali in cui vivono e sopravvivono.
Pisanty, Valentina; Traini, Stefano
(2012). From Analysis to Theory: Afterthoughts on the Semiotics of Culture [journal article - articolo]. In VS. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/28353
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