Attraverso un’analisi del ‘caso’ J.J. Abrams – dei suoi spettacolari timbri narratologici e crossmediali – si mette qui a fuoco la categoria di ‘autore-marchio’, muovendosi nello spazio lasciato all’interno della distinzione fra ‘nome d’autore’ e ‘nome proprio’ da un lato, e di quella fra ‘autore’ e ‘fondatore di discorsività’ dall’altro, che Michel Foucault suggeriva nel saggio “Che cos’è un autore?” (1969). Qui si colloca una modalità di autore che non agisce quale emanazione espressiva di individualità bensì come garanzia di una certa ricetta testuale, di qualità e quantità determinate e sempre uguali di ingredienti testuali, sempre chiaramente identificabili, prevedibili e ricorsivi, in base a cui si modulano (si confermano, ed eventualmente si evolvono) le aspettative e i gusti del fruitore. Proponiamo perciò di formalizzare l’autore-marchio in termini di ‘formule’: come avviene con il linguaggio chimico-matematico, una formula è un modo standardizzato di operare all’interno di un sistema semiotico e di transcodificare significati. Si basa su operatori logici in grado di modificare un ordine di grandezze comparabili all’interno di un insieme strutturato di elementi. Ed è così che opera un autore-marchio come J.J. Abrams. Che siano serie TV come Lost (2004-10) o Fringe (2008-13), film come Mission: Impossible III (2006) o gli episodi VII e IX di Star Wars (2015, 2019), adattamenti come La torre nera di Stephen King o un romanzo interattivo come S. La nave di Teseo, la formula testuale di Abrams sembra essere quella dell’entropia. Perché se c’è una categoria logica che domina come un marchio di garanzia l’universo immaginifico e narratologico di Abrams, questa è proprio il caso, in tutte le sue sfaccettature. Per caso: pensiamo alla sua sintassi narrativa, che muove dal caso non legato della fatalità, dell’accidente, dell’evento fortuito, della coincidenza, e lo connette, lo configura e lo attiva tramite le aporie della fortuna, i capricci della sorte o il disegno del destino. Pensiamo al suo stile logico-temporale, che specialmente in Lost e Fringe fa della randomness delle connessioni una cifra epistemologica, oltre che stilistica. A caso: si procede a tentoni, per prova ed errore, nel totale dominio della contingenza, nella narratività di Abrams. Si pongono domande generose, quasi esorbitanti – domande filosofiche ed esistenziali – a cui si fa fronte con ipotesi ardite sul mondo, spesso massimaliste, sconsiderate, cognitivamente masochistiche. Al punto che risulta complicato districare ammirazione e perplessità, di fronte all’universo narrativo di Abrams. Nelle parole usate da un critico ottocentesco per definire Tristram Shandy, verrebbe da considerare la sua formula come una matrice di “grandi opere d’arte barbarica”; il suo marchio d’autore, un formidabile generatore di caso.
(2024). Per caso, nel caso, a caso. Le formule dell'autore-marchio e la casualità di "Lost" . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/289225
Per caso, nel caso, a caso. Le formule dell'autore-marchio e la casualità di "Lost"
Cleto, Fabio;Consonni, Stefania
2024-01-01
Abstract
Attraverso un’analisi del ‘caso’ J.J. Abrams – dei suoi spettacolari timbri narratologici e crossmediali – si mette qui a fuoco la categoria di ‘autore-marchio’, muovendosi nello spazio lasciato all’interno della distinzione fra ‘nome d’autore’ e ‘nome proprio’ da un lato, e di quella fra ‘autore’ e ‘fondatore di discorsività’ dall’altro, che Michel Foucault suggeriva nel saggio “Che cos’è un autore?” (1969). Qui si colloca una modalità di autore che non agisce quale emanazione espressiva di individualità bensì come garanzia di una certa ricetta testuale, di qualità e quantità determinate e sempre uguali di ingredienti testuali, sempre chiaramente identificabili, prevedibili e ricorsivi, in base a cui si modulano (si confermano, ed eventualmente si evolvono) le aspettative e i gusti del fruitore. Proponiamo perciò di formalizzare l’autore-marchio in termini di ‘formule’: come avviene con il linguaggio chimico-matematico, una formula è un modo standardizzato di operare all’interno di un sistema semiotico e di transcodificare significati. Si basa su operatori logici in grado di modificare un ordine di grandezze comparabili all’interno di un insieme strutturato di elementi. Ed è così che opera un autore-marchio come J.J. Abrams. Che siano serie TV come Lost (2004-10) o Fringe (2008-13), film come Mission: Impossible III (2006) o gli episodi VII e IX di Star Wars (2015, 2019), adattamenti come La torre nera di Stephen King o un romanzo interattivo come S. La nave di Teseo, la formula testuale di Abrams sembra essere quella dell’entropia. Perché se c’è una categoria logica che domina come un marchio di garanzia l’universo immaginifico e narratologico di Abrams, questa è proprio il caso, in tutte le sue sfaccettature. Per caso: pensiamo alla sua sintassi narrativa, che muove dal caso non legato della fatalità, dell’accidente, dell’evento fortuito, della coincidenza, e lo connette, lo configura e lo attiva tramite le aporie della fortuna, i capricci della sorte o il disegno del destino. Pensiamo al suo stile logico-temporale, che specialmente in Lost e Fringe fa della randomness delle connessioni una cifra epistemologica, oltre che stilistica. A caso: si procede a tentoni, per prova ed errore, nel totale dominio della contingenza, nella narratività di Abrams. Si pongono domande generose, quasi esorbitanti – domande filosofiche ed esistenziali – a cui si fa fronte con ipotesi ardite sul mondo, spesso massimaliste, sconsiderate, cognitivamente masochistiche. Al punto che risulta complicato districare ammirazione e perplessità, di fronte all’universo narrativo di Abrams. Nelle parole usate da un critico ottocentesco per definire Tristram Shandy, verrebbe da considerare la sua formula come una matrice di “grandi opere d’arte barbarica”; il suo marchio d’autore, un formidabile generatore di caso.Pubblicazioni consigliate
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