Le figlie di Minia, mitico re di Orcomeno, rispondevano pienamente al canone comportamentale della donna greca: rimanevano ancorate all’oikos, la casa, e all’attività che maggiormente connotava lo stile di vita femminile, la tessitura. Pur promuovendo e celebrando tali pratiche come appropriate, la civiltà greca ha conosciuto l’importanza delle infrazioni: sono noti diversi momenti di rottura dell’equilibrio sociale, tra i quali i più celebri sono i rituali dionisiaci, noti attraverso le Baccanti di Euripide. Culti del dio sono attestati in tutta la Grecia, e in almeno due casi, Tebe e Orcomeno, si legano a una narrazione mitica – un aition – che prevede non semplicemente l’uccisione, ma addirittura lo smembramento, lo sparagmos, dei propri figli ad opera delle madri. Euripide mette in scena la tragica vicenda di Agave che, in preda al delirio bacchico, infilza la testa di Penteo; la saga delle Miniadi, invece, presenta il consapevole sparagmos del fanciullo come offerta al dio. Le tre sorelle, che avevano rifiutato di abbandonare casa e telaio per praticare i riti dionisiaci, dopo essere state spaventate da alcuni prodigi, tirano a sorte per scegliere chi di loro dovrà sacrificare il proprio figlio. Estratta Leucippe, le tre sorelle fanno a pezzi suo figlio Ippasio ed escono per unirsi al rituale bacchico. Peculiare appare il rito derivato: fortemente connotato in termini di genere e classe sociale, trova parallelo anche in altri culti che prevedono una fuga e un inseguimento; nel caso del festival di Orcomeno, potevano culminare nell’uccisione della donna raggiunta. Il contributo intende indagare le ragioni antropologiche dell’atto di uccisione sacrificale di consanguinei in contesto mitico e approfondire le pratiche rituali connesse: l’omicidio praticato da donne sembra configurarsi, infatti, come appartenente a un ordine ‘rotto’ che il rito intende ricomporre.

(2024). Sorelle assassine: le figlie di Minia. Variazioni nel mito e nel culto . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/314285

Sorelle assassine: le figlie di Minia. Variazioni nel mito e nel culto

Spinedi, Tullia
2024-01-01

Abstract

Le figlie di Minia, mitico re di Orcomeno, rispondevano pienamente al canone comportamentale della donna greca: rimanevano ancorate all’oikos, la casa, e all’attività che maggiormente connotava lo stile di vita femminile, la tessitura. Pur promuovendo e celebrando tali pratiche come appropriate, la civiltà greca ha conosciuto l’importanza delle infrazioni: sono noti diversi momenti di rottura dell’equilibrio sociale, tra i quali i più celebri sono i rituali dionisiaci, noti attraverso le Baccanti di Euripide. Culti del dio sono attestati in tutta la Grecia, e in almeno due casi, Tebe e Orcomeno, si legano a una narrazione mitica – un aition – che prevede non semplicemente l’uccisione, ma addirittura lo smembramento, lo sparagmos, dei propri figli ad opera delle madri. Euripide mette in scena la tragica vicenda di Agave che, in preda al delirio bacchico, infilza la testa di Penteo; la saga delle Miniadi, invece, presenta il consapevole sparagmos del fanciullo come offerta al dio. Le tre sorelle, che avevano rifiutato di abbandonare casa e telaio per praticare i riti dionisiaci, dopo essere state spaventate da alcuni prodigi, tirano a sorte per scegliere chi di loro dovrà sacrificare il proprio figlio. Estratta Leucippe, le tre sorelle fanno a pezzi suo figlio Ippasio ed escono per unirsi al rituale bacchico. Peculiare appare il rito derivato: fortemente connotato in termini di genere e classe sociale, trova parallelo anche in altri culti che prevedono una fuga e un inseguimento; nel caso del festival di Orcomeno, potevano culminare nell’uccisione della donna raggiunta. Il contributo intende indagare le ragioni antropologiche dell’atto di uccisione sacrificale di consanguinei in contesto mitico e approfondire le pratiche rituali connesse: l’omicidio praticato da donne sembra configurarsi, infatti, come appartenente a un ordine ‘rotto’ che il rito intende ricomporre.
2024
Spinedi, Tullia
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