Transcreazione di immagini e parole: "Gli amori di mia madre" di Peter Schneider

The essay examines Peter Schneider’s "Die Liebe meiner Mutter" as a paradigmatic example of transcreation, a narrative process that blends translation, reinvention, and reinterpretation in order to reconstruct the past. The novel originates from Schneider’s encounter with family photographs and, above all, with the letters written by his mother Annalise during Nazism and the early postwar years, preserved for decades in a cardboard box and written in the now-obsolete Sütterlin script. Their deciphering—made possible through the collaboration of translator Gisela Deus—initiates a path of emotional and historical reinterpretation in which Schneider revisits his mother’s life and his own childhood. Through the interplay of images, epistolary material, and subjective memory, the author undertakes a profound act of reconciliation with his mother, revealing her emotional and biographical complexity: a woman marked by war, unfulfilled passions, and a love that may have been real or imagined. The essay shows how transcreation functions as a narrative device that destabilizes the boundary between document and fiction, between private and collective memory, while offering a vivid portrayal of wartime Germany and a reflection on the creative agency of the translator, the fallibility of memory, and the transformative nature of writing. The novel ultimately emerges as a work of emotional, historical, and linguistic recomposition, asserting the enduring power of human bonds and storytelling against the forces of destruction.

Il saggio analizza Gli amori di mia madre di Peter Schneider come esempio paradigmatico di transcreazione, un processo che intreccia traduzione, reinvenzione e narrazione nella ricostruzione del passato. Il romanzo nasce dall’incontro dello scrittore con le fotografie e, soprattutto, con le lettere scritte dalla madre Annalise durante il nazismo e il dopoguerra, conservate per decenni in una scatola e redatte in alfabeto Sütterlin. La loro decifrazione, resa possibile grazie all’intervento della traduttrice Gisela Deus, avvia un percorso di reinterpretazione emotiva e storica, in cui Schneider rielabora la vita della madre e la propria infanzia. Attraverso la sinergia fra immagini, testimonianze epistolari e memoria soggettiva, l’autore compie un atto di riconciliazione con la figura materna, rivelandone la complessità affettiva e biografica: una donna segnata dalla guerra, da passioni irrisolte e da un amore forse reale, forse immaginato. Il saggio mostra come la transcreazione diventi un dispositivo narrativo che sovverte il confine tra documento e finzione, tra individua­le e collettivo, offrendo un affresco della Germania devastata dal conflitto e, insieme, un’indagine sul ruolo creativo del traduttore, sulla fallibilità della memoria e sulla possibilità di trasformare il passato in racconto. Il romanzo emerge così come un’opera di ricomposizione affettiva, storica e linguistica, capace di opporre alla distruzione solo la forza dei legami umani e della scrittura.