Fra '500 e '600 i soggetti agiografici non sono nuovi sulle scene, ma conoscono un incremento e una evoluzione elevatissimi, da interpretare anche come l’esito dell’intreccio tra innovazioni della santità canonizzata e trasformazioni teorico-pratiche del teatro post umanistico, particolarmente italiano. A quest’epoca il tema della santità si sviluppa in modo distinto dal rito e dalla festa e particolarmente, a scopo esemplare e imitativo, in ambienti quali i collegi e le accademie; a questa ricollocazione contribuiscono sia la tendenza a reprimere le espressioni teatrali popolari, sia l’affermazione del teatro d’impianto letterario. Sulla base dell’osservazione di alcuni casi italiani, il saggio si sofferma sul rapporto fra testo e recitazione, grazie all’analisi di una fonte inedita (1622), che testimonia di una rappresentazione svoltasi in ambiente siciliano. L’autore, A. Tantillo, un accademico, basandosi soprattutto sul De Oratore di Cicerone nella traduzione di L. Dolce, commenta la performance dell’attore interprete della protagonista di una delle quarantaquattro tragedie del gesuita O. Scammacca, La S. Agatha (Palermo 1633). Il testo di Tantillo è una testimonianza pregevole della funzione edificante attribuita alla scena, secondo gli interessi pratico-devoti delle realtà accademiche e pedagogiche. Vi si illustra soprattutto la capacità di provocare moti interiori ed esteriori nel pubblico, come presupposto di trasformazione cristiana sia dell’attore sia degli spettatori. Tale condizione è illustrata nel documento come conseguenza della capacità sceniche dell’attore di commuovere in primo luogo se stesso grazie al perfetto governo della recitazione, documentato in particolare, nella testimonianza, dalle qualità della emissione vocale. Si evince, dal complesso ragionamento condotto nella fonte, la convinzione che la presenza dell’attore riesca a colpire gli spettatori perché non appartiene alla misura dell’ordinario: la tragedia cristiana regolata ha il proprio segreto nell’artificio, frutto di un processo di riflessione, di studio, di scomposizione e montaggio, compiuto dall’attore, che determina esiti radicalmente diversi da quelli che si producono negli atti correnti della vita; la finzione, che ne è il risultato, fa sì che sulla scena il personaggio si sostanzi di una verità propriamente teatrale, la verità della quale lo spettatore partecipa e alla quale crede. Il saggio ha inteso mostrare, in conclusione, come il rapporto fra santità e teatro sulle scene di età moderna debba essere interpretato considerando l’attore il centro del programma che vi è sotteso, cioè quella relazione tra esempio e imitazione che è il nodo del teatro agiografico di età moderna.

(2013). L’attore necessario: drammaturgia della santità e santità rappresentata [conference presentation - intervento a convegno]. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/34166

L’attore necessario: drammaturgia della santità e santità rappresentata

MAJORANA, Bernadette
2013-01-01

Abstract

Fra '500 e '600 i soggetti agiografici non sono nuovi sulle scene, ma conoscono un incremento e una evoluzione elevatissimi, da interpretare anche come l’esito dell’intreccio tra innovazioni della santità canonizzata e trasformazioni teorico-pratiche del teatro post umanistico, particolarmente italiano. A quest’epoca il tema della santità si sviluppa in modo distinto dal rito e dalla festa e particolarmente, a scopo esemplare e imitativo, in ambienti quali i collegi e le accademie; a questa ricollocazione contribuiscono sia la tendenza a reprimere le espressioni teatrali popolari, sia l’affermazione del teatro d’impianto letterario. Sulla base dell’osservazione di alcuni casi italiani, il saggio si sofferma sul rapporto fra testo e recitazione, grazie all’analisi di una fonte inedita (1622), che testimonia di una rappresentazione svoltasi in ambiente siciliano. L’autore, A. Tantillo, un accademico, basandosi soprattutto sul De Oratore di Cicerone nella traduzione di L. Dolce, commenta la performance dell’attore interprete della protagonista di una delle quarantaquattro tragedie del gesuita O. Scammacca, La S. Agatha (Palermo 1633). Il testo di Tantillo è una testimonianza pregevole della funzione edificante attribuita alla scena, secondo gli interessi pratico-devoti delle realtà accademiche e pedagogiche. Vi si illustra soprattutto la capacità di provocare moti interiori ed esteriori nel pubblico, come presupposto di trasformazione cristiana sia dell’attore sia degli spettatori. Tale condizione è illustrata nel documento come conseguenza della capacità sceniche dell’attore di commuovere in primo luogo se stesso grazie al perfetto governo della recitazione, documentato in particolare, nella testimonianza, dalle qualità della emissione vocale. Si evince, dal complesso ragionamento condotto nella fonte, la convinzione che la presenza dell’attore riesca a colpire gli spettatori perché non appartiene alla misura dell’ordinario: la tragedia cristiana regolata ha il proprio segreto nell’artificio, frutto di un processo di riflessione, di studio, di scomposizione e montaggio, compiuto dall’attore, che determina esiti radicalmente diversi da quelli che si producono negli atti correnti della vita; la finzione, che ne è il risultato, fa sì che sulla scena il personaggio si sostanzi di una verità propriamente teatrale, la verità della quale lo spettatore partecipa e alla quale crede. Il saggio ha inteso mostrare, in conclusione, come il rapporto fra santità e teatro sulle scene di età moderna debba essere interpretato considerando l’attore il centro del programma che vi è sotteso, cioè quella relazione tra esempio e imitazione che è il nodo del teatro agiografico di età moderna.
2013
Majorana, Bernadette
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