Insieme con il tentativo di affermare la propria dignità sociale e personale partecipando ai processi letterari del tempo, alcuni comici dell’arte compiono congiuntamente un percorso di riscatto attraverso la rivendicazione – in quegli stessi testi – della propria appartenenza alla civitas christiana. Analizzando, gli scritti editi dai comici (particolarmente quelli attivi tra la fine del Cinquecento e la metà del secolo seguente), e i coevi scritti contro il teatro comico commerciale pubblicati in ambito ecclesiastico, si cerca di verificare i nessi tra gli elementi tecnici e formali della recitazione e la legittimità del mestiere d’attore, inteso dai comici come esperienza morale virtuosa. Si individua, in questo modo, l’esistenza di una relazione tra Chiesa post-tridentina e teatro professionistico non riducibile a mero e inevitabile antagonismo: nelle opere dei comici emerge una riflessione sulla propria identità cristiana che spinge alcuni di loro su posizioni più avanzate di quelle dei moralisti, solitamente attestati sulla dicotomia verità-finzione, divertimento-serietà, professione-diletto. I comici dell’arte argomentano la loro volontà di rendere visibile la loro ascesi cristiana sulla scena, proprio nell’esercizio virtuoso e coerente della recitazione, aderendo a quel modello di santità imitabile e accessibile a ogni cristiano, che il nuovo quadro giuridico e etico-comportamentale della santità canonizzata, dalla fine del Cinquecento, aveva significativamente rinnovato.
(1992). Un «gemino valor»: mestiere e virtù dei comici dell’Arte nel primo Seicento [journal article - articolo]. In MEDIOEVO E RINASCIMENTO. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/50649
Un «gemino valor»: mestiere e virtù dei comici dell’Arte nel primo Seicento
Majorana, Bernadette
1992-01-01
Abstract
Insieme con il tentativo di affermare la propria dignità sociale e personale partecipando ai processi letterari del tempo, alcuni comici dell’arte compiono congiuntamente un percorso di riscatto attraverso la rivendicazione – in quegli stessi testi – della propria appartenenza alla civitas christiana. Analizzando, gli scritti editi dai comici (particolarmente quelli attivi tra la fine del Cinquecento e la metà del secolo seguente), e i coevi scritti contro il teatro comico commerciale pubblicati in ambito ecclesiastico, si cerca di verificare i nessi tra gli elementi tecnici e formali della recitazione e la legittimità del mestiere d’attore, inteso dai comici come esperienza morale virtuosa. Si individua, in questo modo, l’esistenza di una relazione tra Chiesa post-tridentina e teatro professionistico non riducibile a mero e inevitabile antagonismo: nelle opere dei comici emerge una riflessione sulla propria identità cristiana che spinge alcuni di loro su posizioni più avanzate di quelle dei moralisti, solitamente attestati sulla dicotomia verità-finzione, divertimento-serietà, professione-diletto. I comici dell’arte argomentano la loro volontà di rendere visibile la loro ascesi cristiana sulla scena, proprio nell’esercizio virtuoso e coerente della recitazione, aderendo a quel modello di santità imitabile e accessibile a ogni cristiano, che il nuovo quadro giuridico e etico-comportamentale della santità canonizzata, dalla fine del Cinquecento, aveva significativamente rinnovato.File | Dimensione del file | Formato | |
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