Il territorio investito dallo ‘sprawl urbano’, che chiamiamo ‘città diffusa’ o ‘città orizzontale’ (...o in altri n modi) occupa una parte considerevole delle aree urbane/metropolitane nel mondo. Il dibattito sulla questione urbana, e sulle implicazioni derivanti dalla forma urbana per la vita nelle città, è in questa fase particolarmente vivace sia nel quadro normativo-istituzionale1, sia delle discipline riferibili alla pianificazione/design urbano e all‘interno delle scienze sociali (Brenner N., Schmid C., 2015). Il territorio della città diffusa è spesso al centro delle riflessioni per l’essere poco rispondente agli obiettivi di sostenibilità ambientale per evidenti ragioni: occupazione e dissipazione di suolo per edifici e infrastrutture di servizio, scarsa efficienza nella diffusione delle reti, propensione alla mobilità privata per difficoltà di istituire sistemi concorrenziali di trasporto pubblico locale, alto consumo energetico.Si pone quindi un impegno di reinterpretazione della città orizzontale anche rispetto al dibattito sull’agricoltura urbana: non solo un’inesorabile avanzata nella campagna di mattoni e giardinetti ma, con questo, la produzione di un sistema frammentato di tessere verdi quale forma di ibridazione di città e campagna. Le food policy emergenti, ormai tema di lavoro comune per i contesti urbani/metropolitani, rappresentano una sollecitazione interessante nella reinterpretazione della città orizzontale; la territorializzazione delle politiche del cibo determina infatti un secondo campo di definizione, rappresentato dal disegno di un contesto territoriale privilegiato riconosciuto nella categoria della regione, di approvvigionamento della città. Una declinazione parziale del disegno di equilibrio urbano-ambientale contenuto nel concetto di bioregione urbana5 è provocatoriamente praticabile per le agglomerazioni urbane, costituite per parte consistente di unità edilizie mono-bifamiliari con giardino.
I nanetti al lavoro: fare agricoltura (urbana) nella città orizzontale
ADOBATI, Fulvio
2015-01-01
Abstract
Il territorio investito dallo ‘sprawl urbano’, che chiamiamo ‘città diffusa’ o ‘città orizzontale’ (...o in altri n modi) occupa una parte considerevole delle aree urbane/metropolitane nel mondo. Il dibattito sulla questione urbana, e sulle implicazioni derivanti dalla forma urbana per la vita nelle città, è in questa fase particolarmente vivace sia nel quadro normativo-istituzionale1, sia delle discipline riferibili alla pianificazione/design urbano e all‘interno delle scienze sociali (Brenner N., Schmid C., 2015). Il territorio della città diffusa è spesso al centro delle riflessioni per l’essere poco rispondente agli obiettivi di sostenibilità ambientale per evidenti ragioni: occupazione e dissipazione di suolo per edifici e infrastrutture di servizio, scarsa efficienza nella diffusione delle reti, propensione alla mobilità privata per difficoltà di istituire sistemi concorrenziali di trasporto pubblico locale, alto consumo energetico.Si pone quindi un impegno di reinterpretazione della città orizzontale anche rispetto al dibattito sull’agricoltura urbana: non solo un’inesorabile avanzata nella campagna di mattoni e giardinetti ma, con questo, la produzione di un sistema frammentato di tessere verdi quale forma di ibridazione di città e campagna. Le food policy emergenti, ormai tema di lavoro comune per i contesti urbani/metropolitani, rappresentano una sollecitazione interessante nella reinterpretazione della città orizzontale; la territorializzazione delle politiche del cibo determina infatti un secondo campo di definizione, rappresentato dal disegno di un contesto territoriale privilegiato riconosciuto nella categoria della regione, di approvvigionamento della città. Una declinazione parziale del disegno di equilibrio urbano-ambientale contenuto nel concetto di bioregione urbana5 è provocatoriamente praticabile per le agglomerazioni urbane, costituite per parte consistente di unità edilizie mono-bifamiliari con giardino.File | Dimensione del file | Formato | |
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