Vissuta come un vero e proprio vulnus culturale e politico dai tedeschi orientali, la caduta del Muro di Berlino del 1989 assume ne L’ultimo comunista (2009) di Matthias Frings il significato di un vero e proprio limen traumatico, che ha segnato irrimediabilente l’esistenza dell’autore e, soprattutto, dell’amico e scrittore Ronald Schernikau, scomparso nel 1991 a causa dell’aids. Definito dalla critica una “biografia a tratti romanzata” di quest’ultimo, il libro si apre con l’approdo nella Berlino dei tardi anni settanta di Helmut – allora Frings non aveva ancora rinunciato al primo nome di battesimo con il quale oggi si firma – e restituisce il vissuto dell’autore e la vita di Schernikau, da quando questi si era trasferito a Berlino Ovest, dopo avere pubblicato con enorme successo Romanzo di una piccola città, un’opera di matrice autobiografica in cui si racconta il difficile coming out di un giovane omosessuale di provincia. Le biografie di Frings e Schernikau si rivelano funzionali a evidenziare il trauma che la riunificazione causò ai due autori. In effetti, L’ultimo comunista offre due spaccati riuscitissimi del clima delle due Germanie nel periodo che precede e segue la caduta del Muro, mentre le emozioni, i ricordi e i sentimenti di Frings e di Schernikau sono costantemente amplificati da una Berlino nella quale i due si muovono fra l’impegno politico-letterario e l’affermazione della propria identità di genere: in questo contesto, lo spazio urbano diventa luogo di rappresentazione di una vulnerabilità del sé che, grazie alla performatività (Jameson, Butler), si proietta sulle relazioni umane e sedimenta la memoria. Nel caso di Schernikau, impegno e affermazione sfociano, poi, in un gesto clamoroso: quando cade il Muro, mentre i tedeschi orientali si affrettano a raggiungere l’ovest, Schernikau segue il percorso inverso e, dopo avere ottenuto l’ultimo passaporto emesso dalla ddr, si trasferisce nella parte Est della città. Si spiega così il titolo del romanzo, in cui la parabola queer di Schernikau nella letteratura e nella società tedesca degli anni ottanta ha fornito a Frings la possibilità di raccontare, da un’inedita ed eccentrica prospettiva, le due Germanie all’estremo della loro esistenza e resilienza. Sulla scia della critica tedesca, si potrebbe considerare L’ultimo comunista un romanzo metropolitano, gay, documentario, camp, sociale e persino “ostalgico”, e lo si potrebbe anche descrivere come una autobiografia all’interno di una “biografia in parte romanzata”. Eppure, come intende dimostrare questa relazione, l’opera sfugge a una definizione univoca, perché è espressione di una ferita politica e identitaria individuale e collettiva che si avvale di quella “lingua altra” che, secondo Roland Barthes, “si parla da un luogo politicamente e ideologicamente inabitabile: luogo dell’interstizio, del margine, dell’obliquità e del passo claudicante, luogo cavaliere perché si pone attraverso, a cavallo, apre una prospettiva panoramica”.

(2016). La Berlino vulnerabile. Ronald M. Schernikau e "L’ultimo comunista" di Matthias Frings . Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/79034

La Berlino vulnerabile. Ronald M. Schernikau e "L’ultimo comunista" di Matthias Frings

CALZONI, Raul Mario
2016-12-01

Abstract

Vissuta come un vero e proprio vulnus culturale e politico dai tedeschi orientali, la caduta del Muro di Berlino del 1989 assume ne L’ultimo comunista (2009) di Matthias Frings il significato di un vero e proprio limen traumatico, che ha segnato irrimediabilente l’esistenza dell’autore e, soprattutto, dell’amico e scrittore Ronald Schernikau, scomparso nel 1991 a causa dell’aids. Definito dalla critica una “biografia a tratti romanzata” di quest’ultimo, il libro si apre con l’approdo nella Berlino dei tardi anni settanta di Helmut – allora Frings non aveva ancora rinunciato al primo nome di battesimo con il quale oggi si firma – e restituisce il vissuto dell’autore e la vita di Schernikau, da quando questi si era trasferito a Berlino Ovest, dopo avere pubblicato con enorme successo Romanzo di una piccola città, un’opera di matrice autobiografica in cui si racconta il difficile coming out di un giovane omosessuale di provincia. Le biografie di Frings e Schernikau si rivelano funzionali a evidenziare il trauma che la riunificazione causò ai due autori. In effetti, L’ultimo comunista offre due spaccati riuscitissimi del clima delle due Germanie nel periodo che precede e segue la caduta del Muro, mentre le emozioni, i ricordi e i sentimenti di Frings e di Schernikau sono costantemente amplificati da una Berlino nella quale i due si muovono fra l’impegno politico-letterario e l’affermazione della propria identità di genere: in questo contesto, lo spazio urbano diventa luogo di rappresentazione di una vulnerabilità del sé che, grazie alla performatività (Jameson, Butler), si proietta sulle relazioni umane e sedimenta la memoria. Nel caso di Schernikau, impegno e affermazione sfociano, poi, in un gesto clamoroso: quando cade il Muro, mentre i tedeschi orientali si affrettano a raggiungere l’ovest, Schernikau segue il percorso inverso e, dopo avere ottenuto l’ultimo passaporto emesso dalla ddr, si trasferisce nella parte Est della città. Si spiega così il titolo del romanzo, in cui la parabola queer di Schernikau nella letteratura e nella società tedesca degli anni ottanta ha fornito a Frings la possibilità di raccontare, da un’inedita ed eccentrica prospettiva, le due Germanie all’estremo della loro esistenza e resilienza. Sulla scia della critica tedesca, si potrebbe considerare L’ultimo comunista un romanzo metropolitano, gay, documentario, camp, sociale e persino “ostalgico”, e lo si potrebbe anche descrivere come una autobiografia all’interno di una “biografia in parte romanzata”. Eppure, come intende dimostrare questa relazione, l’opera sfugge a una definizione univoca, perché è espressione di una ferita politica e identitaria individuale e collettiva che si avvale di quella “lingua altra” che, secondo Roland Barthes, “si parla da un luogo politicamente e ideologicamente inabitabile: luogo dell’interstizio, del margine, dell’obliquità e del passo claudicante, luogo cavaliere perché si pone attraverso, a cavallo, apre una prospettiva panoramica”.
dic-2016
Calzoni, Raul Mario
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