The paper aims to explore the Reborning, a widespread phenomenon in the US and Great Britain, although within a specific subculture, where craft women called Reborners rework a doll by disassembling it, painting it and adding all those elements (head and limbs made by sculptors, hair, skin blemishes, heartbeat,…) useful to achieve verisimilitude as realistic as possible with a baby in the flesh. The Reborners operate through the web, managing personal sites where they can show their creations to potential buyers (mostly women) and ambiguously present them both as collectible works of art and as babies to look after. They define themselves both as artists and as people capable of generating, through their works, the maternal instinct; in their intentionally hybrid discourse artificiality blends with reality, even though it never completely coincides with it. Photographs and installations by Desirée Holman, Jamie Diamond, and Rachel Lee Hovnanian variously reflected upon the Reborn dolls, especially in relation to the codified identities of womanhood; instead, the essay will focus on the Frankensteinian imaginary that these dolls seem to develop, already from their very name: in an entirely new way of elaborating mourning, some people commission the re-birth of their dead infants, causing both curiosity and repulsion, stupor and blame for these disturbing memory objects.

Il saggio intende esplorare il Reborning, un fenomeno molto diffuso negli USA e in Gran Bretagna, seppur confinato all’interno di una subcultura che vede protagoniste le cosiddette Reborners, donne che lavorano artigianalmente una bambola giocattolo, smontandola, ridipingendola e aggiungendo elementi (volto e membra appositamente modellati da scultori, capelli, macchie della cute, battito cardiaco,...) utili a raggiungere una verosimiglianza il più realistica possibile con un bébé in carne e ossa. Le Reborners operano attraverso il web, gestendo siti personali dove propongono ai possibili acquirenti (per lo più donne) le loro creazioni, descrivendole con un linguaggio ambiguo che le indica a un tempo come opere d’arte da collezionare e neonati da accudire. Si presentano sia come artiste sia come persone capaci di generare, attraverso i loro lavori, l’istinto materno, e sfruttano un discorso volutamente ibrido, dove l’artificiale si fonde con il reale senza però mai sovrapporsi completamente ad esso. Le fotografie e le installazioni di Desirée Holman, Jamie Diamond e Rachel Lee Hovnanian hanno variamente riflettuto sulle Reborn dolls, soprattutto in relazione ai codici identitari del femminile; il presente articolo intende invece soffermarsi sull’immaginario frankensteiniano che queste bambole sembrano alimentare già a partire dal nome stesso: in una forma del tutto inedita di rielaborazione del lutto, alcune persone commissionano infatti la ri-nascita dei loro neonati defunti, provocando curiosità e repulsione, stupore e biasimo per questi inquietanti oggetti di memoria.

(2016). «Giocare con le cose morte». Reborn dolls, arte ed empatia [journal article - articolo]. In PIANO B. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/170159

«Giocare con le cose morte». Reborn dolls, arte ed empatia

Damiani, Sara
2016-01-01

Abstract

The paper aims to explore the Reborning, a widespread phenomenon in the US and Great Britain, although within a specific subculture, where craft women called Reborners rework a doll by disassembling it, painting it and adding all those elements (head and limbs made by sculptors, hair, skin blemishes, heartbeat,…) useful to achieve verisimilitude as realistic as possible with a baby in the flesh. The Reborners operate through the web, managing personal sites where they can show their creations to potential buyers (mostly women) and ambiguously present them both as collectible works of art and as babies to look after. They define themselves both as artists and as people capable of generating, through their works, the maternal instinct; in their intentionally hybrid discourse artificiality blends with reality, even though it never completely coincides with it. Photographs and installations by Desirée Holman, Jamie Diamond, and Rachel Lee Hovnanian variously reflected upon the Reborn dolls, especially in relation to the codified identities of womanhood; instead, the essay will focus on the Frankensteinian imaginary that these dolls seem to develop, already from their very name: in an entirely new way of elaborating mourning, some people commission the re-birth of their dead infants, causing both curiosity and repulsion, stupor and blame for these disturbing memory objects.
articolo
2016
Il saggio intende esplorare il Reborning, un fenomeno molto diffuso negli USA e in Gran Bretagna, seppur confinato all’interno di una subcultura che vede protagoniste le cosiddette Reborners, donne che lavorano artigianalmente una bambola giocattolo, smontandola, ridipingendola e aggiungendo elementi (volto e membra appositamente modellati da scultori, capelli, macchie della cute, battito cardiaco,...) utili a raggiungere una verosimiglianza il più realistica possibile con un bébé in carne e ossa. Le Reborners operano attraverso il web, gestendo siti personali dove propongono ai possibili acquirenti (per lo più donne) le loro creazioni, descrivendole con un linguaggio ambiguo che le indica a un tempo come opere d’arte da collezionare e neonati da accudire. Si presentano sia come artiste sia come persone capaci di generare, attraverso i loro lavori, l’istinto materno, e sfruttano un discorso volutamente ibrido, dove l’artificiale si fonde con il reale senza però mai sovrapporsi completamente ad esso. Le fotografie e le installazioni di Desirée Holman, Jamie Diamond e Rachel Lee Hovnanian hanno variamente riflettuto sulle Reborn dolls, soprattutto in relazione ai codici identitari del femminile; il presente articolo intende invece soffermarsi sull’immaginario frankensteiniano che queste bambole sembrano alimentare già a partire dal nome stesso: in una forma del tutto inedita di rielaborazione del lutto, alcune persone commissionano infatti la ri-nascita dei loro neonati defunti, provocando curiosità e repulsione, stupore e biasimo per questi inquietanti oggetti di memoria.
Damiani, Sara
(2016). «Giocare con le cose morte». Reborn dolls, arte ed empatia [journal article - articolo]. In PIANO B. Retrieved from http://hdl.handle.net/10446/170159
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